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Voglia di proporzionale

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Italicum, Porcellum, Mattarellum. Le tre leggi elettorali per le politiche della Seconda Repubblica, battezzate con un nome latinizzato in versione maccheronica, molte volte hanno fatto “cilecca”. Nonostante il sistema maggioritario adottato non hanno garantito un vincitore dalle urne e quindi la nascita di un governo autosufficiente deciso dagli elettori. L’impensabile, a volte, è accaduto ed accade con esisti destabilizzanti. Primo fatto impensabile: maggioranza e opposizioni stanno discutendo su come mandare in pre-prensionamento l’Italicum, la nuova legge elettorale per le politiche entrata in vigore appena lo scorso luglio e approvata dal Parlamento poco più di un anno fa. L’Italicum probabilmente sarà “rottamato” senza neppure un collaudo, senza essere mai stato usato nemmeno  una volta. Gli attacchi delle minoranze del Pd, dei centristi della maggioranza e delle opposizioni alla fine hanno convinto Matteo Renzi a cambiare la legge da lui fortemente voluta.

Secondo fatto impensabile: sta risorgendo, a sorpresa, la voglia del vituperato sistema elettorale proporzionale (tanti voti tanti seggi parlamentari). Se così fosse verrebbe cancellato il meccanismo maggioritario dell’Italicum (chi ha più voti conquista la maggioranza dei seggi), un modello analogo al Mattarellum e al Porcellum, le leggi elettorali per le politiche sulle quali è nata e si è sviluppata dal 1994 la Seconda Repubblica bipolare, imperniata sulla contesa tra centro-sinistra e centro-destra. Il M5S punta su una legge “rappresentativa dei cittadini” adottando un sistema proporzionale, basato su circoscrizioni medio-piccole più preferenze, senza premio di maggioranza. Sinistra Italiana è favorevole ad un sistema proporzionale alla tedesca, con uno sbarramento elettorale. Silvio Berlusconi, uno dei fondatori della Seconda Repubblica maggioritaria e bipolare, non ha ancora precisato come vorrebbe modificare l’Italicum. Tuttavia il presidente di Forza Italia avrebbe giudicato “interessante” la proposta dei grillini per ripristinare il proporzionale e le preferenze. Ancora più preciso è stato Stefano Parisi. L’uomo “incaricato” da Berlusconi di rinnovare Forza Italia e il centro-destra è entrato più nei dettagli: «Non sono contrario al proporzionale, ma purché ci sia chiarezza sul governo. Il sistema tedesco? Ottimale, ha tenuto per moltissimi anni».
Terzo fatto impensabile: Renzi artefice dell’Italicum per far conoscere agli italiani il governo già “la sera delle elezioni”, alla fine ha “spalancato le porte” alle richieste di modifiche dopo tanti e categorici no. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd messo alle strette si è detto disponibile soprattutto a due cambiamenti: 1) assegnare il premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista vincente; 2) eliminare l’eventuale ballottaggio qualora nessun vincitore abbia ottenuto almeno il 40% dei voti necessari per il premio in seggi. Sì dunque ad attenuare il meccanismo maggioritario, no ad introdurre il proporzionale.

Certo l’Italicum è il frutto di un’altra fase politica ormai sbiadita: quando il Pd di Renzi, nel 2014,  trionfò nelle elezioni europee con il 40,8% dei voti. Da allora, però, è cominciata una brusca caduta: il presidente del Consiglio in due anni ha collezionato non poche sconfitte nelle elezioni amministrative da parte dei cinquestelle; il Pd è vertiginosamente disceso nei sondaggi elettorali che ora lo danno quasi appaiato ai grillini; la riforma costituzionale del governo rischia di essere respinta nel referendum del 4 dicembre. Se vincerà il “no” al referendum le conseguenze saranno pericolose per Renzi: l’Italicum, previsto solo per eleggere i deputati e non i senatori, dovrà essere radicalmente cambiato; il presidente del Consiglio probabilmente si dimetterà con conseguenze politiche imprevedibili.

Una cosa è sicura: gli aedi del maggioritario sono in difficoltà mentre il proporzionale sta acquisendo inaspettati consensi. La partita è tutta da giocare. Il sistema elettorale maggioritario, decantato come perno della stabilità politica, non ha mantenuto le promesse. Già nel 1994 scoppiò il primo incidente: Berlusconi con il Mattarellum ebbe la maggioranza alla Camera e non al Senato.  E il leader del centro-destra solo con grandi difficoltà, e con qualche “cambio di casacca” di alcuni senatori, riuscì ad ottenere la maggioranza anche a Palazzo Madama e a guidare il suo primo governo. Più tardi toccò a Romano Prodi, leader del centro-sinistra, fare i conti con una traballante maggioranza al Senato persa per strada: nel 1998 (dopo due anni di governo) dovette farsi da parte da presidente del Consiglio per far posto a Massimo d’Alema (costituì un esecutivo appoggiato anche da parlamentari eletti nelle liste del centro-destra); nel 2008 (sempre dopo due anni a Palazzo Chigi) fu costretto a dimettersi e si andò alle elezioni politiche anticipate.

L’ultimo “infortunio”, nonostante il sistema elettorale maggioritario, è capitato a Pier Luigi Bersani: nelle elezioni politiche del 2013 il centro-sinistra ottenne la maggioranza alla Camera e non al Senato. Il M5S, a sorpresa, incassò oltre il 25% dei voti. Così nacque il governo di “larghe intese” guidato da Enrico Letta, Pd, con Berlusconi in posizioni chiave con numerosi ministri in pista (in particolare Angelino Alfano all’Interno), per realizzare le riforme istituzionali ed economiche.

Quarto fatto impensabile: nel 2013 morì il bipolarismo, un’era politica della Seconda Repubblica, e nacque il tripolarismo cinquestelle, centrosinistra, centrodestra. Ha pagato dazio anche Renzi che tre anni fa predicava “mai con la destra”: all’inizio del 2014 ha sostituito Letta alla presidenza del Consiglio mantenendo però nel governo anche i parlamentari del Nuovo centrodestra di Alfano (eletti nelle liste di Forza Italia) e poi accogliendo nella maggioranza anche deputati e senatori di Ala, il movimento di Denis Verdini scissosi da Forza Italia lo scorso anno.

Quinto fatto impensabile: le “larghe” e le “piccole intese” tra i nemici storici del centro-sinistra e del centro-destra sono state prima negate ma poi realizzate, perché il Porcellum (la legge elettorale maggioritaria con la quale si è votato nel 2013) ha fallito, come prima il Mattarellum, nell’obiettivo di garantire stabilità di governo.

Se passerà il proporzionale, invece, si prepara una stagione del tutto diversa. L’onda delle grandi coalizioni, in questo caso, sembra inevitabile. Con un sistema politico tripolare è difficile che una coalizione possa conquistare una maggioranza autonoma di seggi in Parlamento. Di qui la necessità di allargare i confini dell’esecutivo. È quanto sta accadendo in Europa: i governi di Germania, Austria e Spagna (è l’ultimo esempio) sono retti da maggioranze di grande coalizione tra partiti di  centro-destra e di centro-sinistra, lasciando all’opposizione le varie forze populiste.

La vicenda ricorda lo schema politico della Prima Repubblica: legge elettorale proporzionale e grandi coalizioni per governare. La Dc sperimentò varie forme di “larghe intese”. Lo scudocrociato, forza egemone del sistema politico della Prima Repubblica, all’inizio imbarcò al governo i partiti laici, dando vita al centrismo; poi si alleò con il Psi, facendo partire il centro-sinistra; infine aprì all’intesa con i comunisti, varando i governi di unità nazionale. Successivamente ripiegò di nuovo sul centro-sinistra, concedendo la presidenza del Consiglio prima al repubblicano Giovanni Spadolini e poi al socialista Bettino Craxi. All’opposizione rimase sempre solo il Msi, il partito erede del fascismo.

Referendum costituzionale ed Italicum sono strettamente legati. Se il superamento del bicameralismo paritario e il ridimensionamento del numero e del ruolo dei senatori (non più eletti direttamente dai cittadini) sarà bocciato, il cambiamento dell’Italicum sarà più forte. Se, invece, la revisione costituzionale sarà approvata le modifiche alla legge elettorale saranno più lievi. Comunque se ne parlerà dopo il referendum del 4 dicembre. Se ne occuperà o Renzi, o un governo Renzi bis o un altro esecutivo.


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