Dalle redazioni alle aule del Parlamento, dalle università ai tribunali, continuando con i rastrellamenti nelle caserme e negli aeroporti militari, l’ondata di arresti in Turchia dopo il fallito colpo di stato dello scorso luglio continua. Come la repressione sempre più pervasiva di Recep Tayyp Erdogan. L’ultimo a finire in carcere l’editore di ‘Cumhuriyet’, uno dei principali quotidiani di opposizione della Turchia: era appena appena rientrato a Istanbul dalla Germania.
Il provvedimento nei confronti di Akin Atalay è stato eseguito pochi giorni dopo l’incarcerazione di nove cronisti dello stesso giornale.
Gli arresti sono parte di un’ondata repressiva che ha subito un’accelerazione a luglio, a seguito del tentativo di golpe.
Altri fermi giudiziari hanno raggiunto, pochi giorni fa, trentacinque piloti delle Forze Armate accusati di legami con Fethullah Gulen, l’imam ed ex amico – confidente di Erdogan indicato come l’ispiratore del golpe non riuscito. Altri venti sono sfuggiti alla cattura e sono latitanti.
Gli arrestati sono tutti accusati di tradimento, violazione della Costituzione e di partecipazione ad attività terroristica armata.
La maggior parte delle persone finite in carcere hanno il grado di tenente, ma tra i destinatari dei mandati di arresto ci sono anche un colonnello e alcuni ex ufficiali.
Prima della retata delle ultime ore, erano finite in carcere su ordine delle autorità turche nell’ambito dell”inchiesta avviata dalla Procura di Konya già 73 militari dell’aviazione.
E la scia delle azioni giudiziarie non è destinata ad esaurirsi presto.
Sulle vicende della Turchia hanno espresso più volte preoccupazione sia i vertici di Bruxelles che il dipartimento di Stato americano, che dopo l’approvazione a maggioranza della legge che aboliva l’immunità parlamentare temevano rappresaglie contro le opposizioni.
L’arresto dei leader del partito filo-curdo dell’Hdp non è stato dunque una sorpresa.
Dopo la decisione dei parlamentari del Partito democratico dei popoli di abbandonare i lavori del Parlamento, in segno di protesta dopo l’incarcerazione dei due co-presidenti Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag e del gruppo dirigente della forza politica, la terza della Turchia, sono arrivati i primi concreti segnali di disappunto nei confronti della deriva di regime di Erdogan.
L’Unione europea ha chiaramente affermato che “i passi indietro circa l’indipendenza della magistratura, la libertà di espressione e altri fondamentali standard democratici dallo scorso luglio” hanno allontanato la prospettiva che Ankara entri in UE.
il commissario europeo all’Allargamento Johannes Hahn, presentando alla stampa il rapporto sullo stato dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione, ha annunciato che gli Stati membri si ritroveranno per discutere su come andare avanti la prossima settimana, durante il consiglio dei ministri degli Esteri di metà novembre. In quell’occasione Hahn chiederà un mandato per un’approfondita discussione con i turchi.
Il processo di adesione del Paese all’UE ha subito una brusca frenata soprattutto per le misure contro le minoranze e la libertà di stampa, con l’arresto di centinaia tra intellettuali e giornalisti.
L’analisi contenuta nel pacchetto sul tavolo delle trattative, approvato dal collegio dei commissari, rileva “regressioni” per
quanto riguarda giustizia e gestione dei servizi pubblici e risorse umane.
“Per il sistema giudiziario, in particolare, ci sono stati passi indietro negli ultimi anni, in particolare nell’indipendenza della magistratura – si legge nel documento di lavoro della Commissione”.
La relazione confronta la situazione attuale a quella di pochi anni fa, evidenziando tra l’altro che “in Turchia la corruzione rimane prevalente in molte aree e resta un problema serio mentre per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali si rendono necessari indispensabili miglioramenti”.
La Commissione europea guarda in particolare alle violenze di genere, i discorsi di odio contro le minoranze, e alle violazioni dei diritti dalla comunità Lgbt, definiti dai commissari “fonti di serie preoccupazioni”.
Nel complesso, per quanto riguarda il rispetto degli obblighi per l’appartenenza all’Ue, se si esclude l’eccezione per i lavori richiesti per la liberalizzazione del regime dei visti, gli sforzi sono proseguiti a ritmo limitato.
Insomma il messaggio inviato alla Turchia da Bruxelles è forte. Ora sta a Erdogan decidere se e quanto impegnarsi davvero per riportare su standard democratici l’azione del suo governo. Ma, finora, la strada intrapresa dal presidente turco procede spedita nella direzione opposta.