“Ciao Michele ieri dopo undici giorni di ricovero a mio figlio di 13 anni è stato riscontrato un brutto tumore, purtroppo siamo di Taranto e l’Ilva ci ha condannati e non voglio che altri genitori possano passare ciò che sto passando io, chiudila”.
Non è un sms caduto nel nulla, ma uno di quei messaggi che nessuno vorrebbe mai leggere. E Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, impegnato sul fronte Ilva da tempo ormai lo ha pubblicato sulla pagina Fb ricevendo milioni di commenti, tanto da essere in pochi minuti un post letto da tutti. Ma è un sms vero, e scritto dal padre di un bambino di soli 13 anni, che scopri dopo di conoscere , di averci parlato in una delle tante occasioni di cene di amici …e non ci vuoi credere. E il web impazzisce di commenti, e tu leggi e pensi a sua madre, a lui, al padre disperato che scrive al presidente di chiuderla quella cosa, quell’ammasso di ferri vecchi che sta decimando una generazione. Solo un mese fa un angelo di 39 anni era volato via, dopo aver lavorato anni a contatto con chi ti ha ucciso.
Ilva uccide piano, si nasconde dietro un esame del sangue, dietro un errore umano, dietro fumi che s’alzano nel cielo di una città che non riesce più a trovare interlocutori che al governo facciano comprendere cosa davvero stia accadendo. E non è normale scrivere al presidente della Regione per chiedere di chiudere una fabbrica che dovrebbe dare lavoro, perché non è normale niente di tutto questo. Non può essere normale che si debba scrivere ad un uomo che si deve occupare di salvaguardare una fabbrica che su territorio dovrebbe rappresentare una risorsa. Invece è normale, perché quella fabbrica non rappresenta la normalità, ed è normalità che il presidente legga e risponda, perché ha davvero deciso di mettere in prima linea la salute prima di tutto, poi il lavoro, ed è normale aspettarsi che il mondo se ne accorga, perché di Ilva non deve morire un bambino di 13 anni.
Un simile sms lascia indifferenti coloro che stanno giocando sulla pelle di questi nostri ragazzi, come avviene in terra dei fuochi, solo che qui è lo stato che non vuole ascoltare le voci di un popolo che chiede aiuto. Lui, quel bambino di cui un padre scrive disperato, ha diritto a vivere, non a curarsi di un male contratto per scelte scellerate, ha diritto a giocare a calcio, non a vedere corridoi garbati mentre muore, in una stanza col televisore, ha diritto a crescere e studiare, non a contare i giorni che Ilva gli lascia vivere.
Quel bambino è mio figlio, è figlio di chi legge, di chi tutto questo lo sta permettendo. Ilva inquina, ancora e sempre, e va chiusa se questo è ciò che produce. E del suo acciai l’Italia ne faccia a meno, perché un grammo di acciaio non vale un pensiero triste come questo, non può valere un giorno di quel bambino, inchiodato da una diagnosi che non da scampo…ha solo 13 anni!E se un padre trova la forza di denunciare tutto questo in mezzo al dolore, allora tutto ha senso. Anche la lotta che questa Regione sta portando avanti, fatta di ricerca di soluzioni e prese di posizioni in favore della vita umana.
In questi giorni cittadini di Taranto chiedono alla Procura che si indaghi nella direzione delle ipotesi di reato di avvelenamento di acque e disastro ambientale.
I rappresentanti di Peacelink unitamente ad alcuni cittadini hanno consegnato un dossier ai Carabinieri che contiene dati relativi a recenti campionamenti (2015-2016) effettuati sotto il parco minerali dell’ILVA per essere posti all’attenzione della Procura che possa, dunque, individuare responsabilità del disastro ambientale che ha portato alla compromissione del suolo, falda superficiale e falda profonda, di Taranto, proprio in corrispondenza dei parchi minerali Ilva. A firmare la nota sono esponenti di Peace Link che sottolineano come sotto quel sito vi sia una miniera di sostanze cancerogene, genotossiche e neurotossiche, trattandosi di zone che sono state bagnate con conseguenze sulla falda, om assenza di impermeabilizzazione del suolo e di un sistema di raccolta adeguato delle acque piovane.
PeaceLink sottolinea ancora la necessità della messa in sicurezza delle aree interessate per arginare e fermare la contaminazione, e di essere messi a conoscenza sulla possibilità di sapere di contaminazione dei prodotti agricoli irrigati con quell’acqua di falda, chiedendo tracciabilità in tal senso, rivolgendosi anche ad Asl perchà metta online i rapporti di prova sulle sicurezza alimentare dei prodotti coltivati nella terra in questione. Il fine è la chiarezza, perché tutti possano scegliere liberamente se acquistare o meno , i cosiddetti prodotti “ILVA free“.
L’esposto presentato dai componenti di Peacelink è uno dei mille passi che questa terra compie per liberarsi di un mostro che ingoia vite umane in ogni direzione, per ogni fascia di età. Ilva non può essere il giudice che decide quanti giorni deve vivere un bambino in questa terra, e un sms così dovrebbe svegliare le coscienze di chi ci sta uccidendo. Fermarsi è un dovere, sulle parole, sulla disperata ricerca di giustizia, sulla finestra da cui quel bambino starà guardando fuori, fuori da una stanza di chissà quale ospedale , di chissà quale città, forse lontano da casa e dagli amici, chiedendosi perché non può più alzarsi, chi gli ha tolto la forza, chi lo ha permesso, ma soprattutto perché?
Coraggio, si copi e si incolli questa domanda e si porti sui tavoli di chi inaugura ogni giorno pezzi di una Italia che a pezzi cade… perché si deve morire da bambini?
Riposa gli occhi piccolo, qualcuno prima o poi troverà un angolo di verità da regalarti, ma adesso dipingi i tuoi sogni d’azzurro, come il cielo che questa città non t’ha saputo dare.
(Foto Vincenzo Aiello)