Dopo Trump, l’Europa corre ai ripari. Tre notizie, la prima nel titolo di Repubblica: “Lo spread vola. Svolta nella Ue: meno austerità”. La seconda in quello del Pais: “L’Europa progetta una difesa propria di fronte al rischio Trump”. La terza, nelle pagine interne: in Germania il partito della Merkel è più debole, tornano le divisioni tra le sue componenti, CDU e CSU, di conseguenza la presidenza della repubblica andrà al socialdemocratico Steinmeier. Se è per questo si possono considerare conseguenza del ciclone Trump anche i voti in Moldavia e in Bulgaria, che hanno visto prevalere candidati filo russi. Ma torniamo alla fine dell’austerità: per ora è solo ventilata, auspicata. In alcuni paesi, come l’Italia, è tornata a ottobre la deflazione e torna a salire lo spread (ieri a 180), ma soprattutto l’austerità diventa impraticabile, si si scatena una competizione aggressiva tra Stati Uniti e Cina (a forza di dazi americani e ritorsioni cinesi). Oggi si ventila, persino, che la Cina decida di non produrre più o di far salire i prezzi dei componenti indispensabili per assemblare un iPhone, tutti prodotti in Cina. Bisogna cambiare verso. È dunque prevedibile che l’Unione non muova, ora, obiezioni alla crescita del deficit italiano. Naturalmente mantenendoci sotto osservazione per il debito e chiedendo al governo di spendere davvero per il terremoto.
Appello alla maggioranza silenziosa. Siamo a questo! Renzi cerca disperatamente di raddrizzare i sondaggi che lo danno perdente nel giudizio di dio del 4 dicembre. E si appella alla maggioranza silenziosa cui chiede di parlare nelle urne e evoca i disastri che verrebbero in caso di crisi. “Lo spread? Colpa dell’incertezza”. Dell’incertezza politica, intende, cioè dei rischi che corre il suo governo in caso di vittoria dei No. “I miei colleghi – dice Gentiloni – chiedono notizie dei sondaggi”. Solerte Repubblica recluta Draghi: “per le riforme serve stabilità”. Ma il presidente della BCE, in realtà, aveva detto “per le riforme serve stabilità finanziaria”, che suonava piuttosto come monito al governo perché badi allo spread e non giochi con la spesa per elargire mance e bonus. E il contesto era un elogio al governo Prodi-Ciampi, governo – qui Draghi sembra addirittura evocare un argomento che i 5 Stelle usano contro Renzi – che “era anche espressione diretta di una consultazione elettorale”.
Renzi come Garibaldi. Eh sì, il nostro è partito alla conquista del Regno delle due Sicilie, dove, dicono i sondaggi, il No è in vantaggio di 8-10 punti. Come? “Nel piatto della missione Sicilia, 500 milioni di opere pubbliche”, la Stampa. Soldi da spendere senza lacci e laccioli, come spiega il governatore della Campania De Luca: “a forza di parlare di anti corruzione si paralizza il paese”. Insomma il premio pare voler riesumare le vecchie politiche dorotee, quando i governi Rumor e Andreotti finanziavano a piè di lista la borghesia parassitaria e intermediaria del meridione, per evitare colpi di testa come la rivolta di Reggio Calabria o il “golpe” di Junio Valerio Borghese appoggiato dalla mafia. Faraone è da tempo su questa lunghezza d’onda, a Crocetta non resta di meglio, pure Vladimiro Crisafulli si è scoperto renziano. Mentre Antonello Cracolici fa il renziano di sinistra e comunica per sms che domani, con il Presidente del Consiglio, incontrerà pescatori e contadini, al grido di “Nessuno escluso!”. Il tutto condito dalla grinta referendaria del Renzi, che evocherà i forconi contro la casta della sinistra, i D’Alema i Bersani. Perché il No che bloccherebbe crescita e affari.
Soldati a Milano. Li chiede Sala per rendere più sicure le periferie. Un razzista alla casa Bianca: ribellione di ebrei, musulmani e difensori dei diritti civili contro la nomina a consigliere del Presidente di un guru razzista della campagna elettorale di Trump. Le monde si chiede se “l’elezione di Trump segni la fine della mondializzazione”. In Spagna, dice El Pais, si studiano somiglianze e differenze tra i “populismi” di Podemos e di Trump. Rampini, su Repubblica, e Galli della Loggia, sul Corriere, due intellettuali – giornalisti che hanno spesso cantato le magnifiche sorti e progressive delle “elites”, oggi ne denunciano le colpe.