E ‘ uno dei prodotti Rai più famosi nel mondo. Uno dei capolavori di Franco Zeffirelli. Per quel documentario che noi conosciamo con la voce di Richard Burton c’era ovviamente un autore e responsabile Rai, ed era Furio Colombo.
“Per Firenze” è, a 50 anni di distanza, un esempio di come si possa realizzare un documentario in grado di scuotere le coscienze del mondo raccontando i fatti senza retorica, nella loro autentica drammaticità. Tu che ne sei stato il responsabile per la Rai puoi raccontarci come nacque quel filmato ormai storico, che fu trasmesso esattamente un mese dopo quel terribile 4 novembre del 1966?
Verso le 9 del mattino di quel 4 novembre, mentre io ero a casa nel mio giorno di riposo dal telegiornale, mi chiamò Zeffirelli. La radio non dava ancora nessuna notizia – la TV di mattina non trasmetteva – e la notizia principale era che il capo dello stato stava portando la corona all’altare della patria e quel giorno allora era ancora festivo. Però molte trasmissioni radiofoniche lanciavano appelli ai medici perché si recassero nell’area di Firenze. Ma dopo la chiamata di Zeffirelli riuscii a trovare il direttore Fabiano Fabiani al Quirinale, che era informato almeno in parte di quello che stava accadendo ma era stato costretto a dare precedenza alla notizia delle celebrazioni del 4 novembre. Da quel momento tutto si mise in moto.
Zeffirelli ed io ci conoscevamo bene, essendoci incontrati spesso in America, dove già io avevo risieduto più volte. C’era fra noi un rapporto di fiducia e di simpatia, per questo lui cercò me in quei momenti drammatici. Mi spiegò subito la gravità di quello che stava succedendo a Firenze e mi parlò subito dell’idea che aveva già chiara in testa: mi disse che dovevamo fare subito un documentario, fare arrivare le troupe e poi ci saremmo risentiti. Fabiani si mosse in un attimo: mobilitò i migliori operatori di Roma – credo Corbi e Lazzaretti – e gli operatori della sede fiorentina che era già quasi inondata. Sono le ore in cui Marcello Giannini fa sentire con il microfono fuori dalla finestra della sede Rai, allora in pieno centro, il rumore assordante delle acque dell’Arno.
Io lavoravo ininterrottamente al telefono, dopo aver raggiunto la sede del telegiornale. Zeffirelli dopo poco lanciò l’altra grande proposta: trovare dei narratori di eccezione, famosi a livello internazionale, per fare del documentario la richiesta di aiuto a tutto il mondo per salvare Firenze.
Come sappiamo quegli operatori lavoravano con telecamere a spalla pesantissime, eppure la qualità di quelle riprese è ancora oggi, dopo 50, sotto gli occhi di tutti. I narratori, quindi, dovevano completare quello che le immagini raccontavano con grande drammaticità
Io pensai subito di chiamare Ted Kennedy, appena eletto senatore, che si trovava a Roma, e gli chiesi se gli fosse possibile fare un intervento su Firenze al ritorno negli Stati Uniti, ma lui andò oltre e partì il giorno dopo per andare a portare soccorsi e infatti lo ritroviamo fra i ragazzi a Firenze che lancia un appello al mondo proprio verso la fine del documentario.
Zeffirelli ebbe l’intuizione immediata di cercare Richard Burton e Liz Taylor che erano in Italia per girare con lui “La bisbetica domata”, sapendo che sarebbero stati degli ambasciatori eccezionali in tutto il mondo. Io andai sul set che era stato costruito sulla via Appia e gli illustrai il progetto di Zeffirelli, che aveva parlato al telefono con Burton. Fu un compito facile, soprattutto perché il mito di Firenze era enorme per gli americani, come ebbi poi modo di verificare negli anni anche da direttore dell’istituto italiano di cultura a New York, Firenze è per gli americani una parola magica. Il mio lavoro fu quindi soprattutto quello di scrivere il testo e di scriverlo a frammenti nelle due lingue, per fare in modo che fosse facilmente gestibile in una doppia versione, quella in italiano e quella in inglese. E lì ci fu la grande sorpresa. Il tutto avvenne nello studio del telegiornale a Via Teulada, che fu lasciato libero per ordine di Fabiani, dove Burton affrontò il primo segmento di testo in inglese e poi in italiano. Lì mi resi perfettamente conto che mentre Burton coglieva al volo il senso e il contenuto delle parole per leggerle come un racconto in presa diretta, la Taylor era assolutamente e completamente attrice, quindi non le era possibile farglielo leggere in italiano perché non riusciva a recitarlo. Questo fu il motivo per cui il documentario uscì in Italia con la sola versione di Burton, mentre per i soli Stati Uniti fu utilizzata la versione inglese anche con Liz Taylor. Burton, sorprendentemente, parlava un italiano evidentemente da straniero ma senza quelle intonazioni di voce che potevano stonare in un contesto come quello. E’ stata una prova di professionismo indimenticabile, che in America raccolse cifre enormi per Firenze
A distanza di mezzo secolo si può dire che in quei giorni del 1966 prese forma una realtà oggi consolidata come il volontariato?
In quei giorni e facendo il lavoro per il documentario ci fu la scoperta di quei giovani, Zeffirelli e io ne parlavamo come se li avessimo un po’ chiamati noi, ma in realtà noi li abbiamo testimoniati. Zeffirelli ne è stato contagiato come Kennedy, come tutti coloro che si avvicinavano a Firenze. Certamente il volontariato deve moltissimo a quelli che la storia ha poi chiamato gli “angeli del fango”. Fu una sorta di scoperta collettiva, un contagio bellissimo e quasi inevitabile. Tutto questo avveniva in un mondo completamente diverso da oggi, in cui la guerra era ancora un ricordo recente, la solidarietà era un valore fondante di quella società, la presa di coscienza dei giovani iniziava un lungo cammino, come ben sappiamo. Anche se oggi c’è molta più organizzazione, quella sensibilità e quella tensione si sono perdute nel mondo contemporaneo, aiutardi a vicenda ha purtroppo assai meno valore.
Oggi, nell’era della globalizzazione e della comunicazione continua in tempo reale potrebbe avere ancora un senso un grande documentario da mandare in giro per il mondo in Tv e sul web sul terremoto che ha distrutto gran parte del centro Italia?
Si potrebbe fare qualcosa per certi versi simile ma molto diversa. Bisognerebbe fare comunque un programma in diretta, fra i paesi crollati, fra le persone accampate fra le macerie. Ci vorrebbero degli operatori e dei direttori di fotografia molto molto bravi, un grande autore di testi e un personaggio in grado di narrare, ma anche di ascoltare e di dialogare, con la sensibilità culturale e sociale necessaria e una popolarità internazionale. Mi viene in mente Roberto Benigni. Ci vuole una narrazione implicitamente triste ma niente affatto deliberatamente triste, una sorta di avventura fra le macerie, tutto in diretta ma anche con immagini girate al massimo livello di qualità cinematografica.