Ora è il tempo degli autonomi. Perché oramai oltre il 62% dei giornalisti attivi lo sono, con una percentuale da anni in crescita. E perché spesso ricoprono ruoli strutturali e strategici nel sistema dell’informazione. A fronte di una costante riduzione del lavoro dipendente.
Si tratta di un tema sul quale è necessario sviluppare un confronto approfondito, perché i suoi presupposti culturali, e le politiche conseguenti, non sono affatto scontate.
Anche per questo è urgente convocare la “Conferenza organizzativa della Fnsi sulle problematiche del lavoro autonomo e della precarietà”, approvata nel 2015 dal Congresso di Chianciano, per “sviluppare un ampio confronto su quanto finora prodotto a livello nazionale e locale, su nuove proposte e per elaborare una piattaforma operativa aggiornata sul tema”.
Queste note vogliono essere un contributo di riflessione aperta, e di dibattito in tale direzione.
Partiamo da un presupposto, tutt’altro che provocatorio: una vasta area di lavoro autonomo non sarebbe di per sé un problema. Ma a patto che l’autonomo possa guadagnare un reddito almeno pari a quello di un dipendente, dopo essersi coperto le spese di produzione, di assicurazione, i contributi sufficienti per garantirsi una vera pensione. E disponendo di welfare e tutele sociali adeguate, assieme a ragionevoli prospettive di lavoro in un mercato davvero aperto e non feudale. Condizioni, queste, necessarie anche per poter esercitare la professione giornalistica con indipendenza e in un contesto di non ricattabilità, innanzitutto economica.
Ma non è questa la realtà in cui oggi si opera: “lavoro autonomo”, nel giornalismo, è quasi sempre sinonimo di sottopagato, senza tutele, e fortemente ricattabile. E (a differenza di quanto avveniva fino a 15-20 anni fa) senza nemmeno plausibili prospettive d’assunzione dopo un periodo iniziale di sottopagata precarietà. Deve quindi essere accantonata l’idea secondo cui “un collaboratore, se è bravo e ha un po’ di pazienza, prima o poi verrà assunto”. Perché, nel mercato attuale, si può anche essere professionalmente bravissimi, ma non venire assunti mai, o almeno per diversi anni.
Quindi, nell’attesa di una lontana o improbabile assunzione, che fare? Quali politiche e risposte offrire oggi a chi – per scelta o per costrizione – opera da non dipendente? Per queste ragioni è necessario costruire – oggi e nell’attuale contesto di mercato – quelle regole e tutele minime che mettano gli autonomi in condizioni di pari dignità con i dipendenti, e nella possibilità di campare dignitosamente del proprio lavoro.
E ciò non solo per l’inaccettabilità etica del veder perpetuare ampie fasce di sfruttamento di colleghi. Ma anche perché il lavoro autonomo, se sottopagato e senza diritti, diviene il principale antagonista del lavoro dipendente, delle politiche per le assunzioni, delle tutele dei contratti collettivi, ma anche della sostenibilità economica di enti come l’Inpgi e dei suoi servizi. Da una parte è quindi necessario fornire politiche e risposte forti alle esigenze di migliaia di non dipendenti (su reddito, welfare, tutele, rappresentanza sindacale e aziendale…). Partendo dal presupposto che – piaccia o meno – questa è oggi la principale forma di lavoro nel giornalismo.
Dall’altra bisogna tentare di ricondurre nell’ambito del lavoro dipendente quelle vaste aree di lavoro oggi solo fittiziamente autonomo che corrispondono in realtà a posizioni di lavoro subordinato. E ciò alla luce degli attuali contratti collettivi, troppo spesso non applicati. Il che comporta stringenti politiche per le stabilizzazioni di chi già oggi ne avrebbe diritto, e un forte sostegno, anche economico, alle vertenze dei collaboratori (che spesso, quando si rivolgono a un tribunale, si vedono – e non a caso – dar ragione).
Tutto ciò non è antitetico all’ipotesi di riscrivere parte dei contratti collettivi nazionali, per adeguarli alle esigenze produttive attuali, per creare nuove figure professionali, e includervi quei collaboratori strategici oggi spesso inquadrati discutibilmente come co.co.co. Ma a condizione che ai nuovi profili non corrisponda, a fronte di una parità sostanziale di ruolo e impegno, un depotenziamento retributivo e di diritti rispetto ai dipendenti tradizionali. Perché ciò spingerebbe a smantellare de facto le altre figure, lasciando attive solo quelle depotenziate e più economiche.
Parallelamente alle politiche contrattuali e di stabilizzazione, oggi è necessario operare con forza su alcuni punti strategici, rivolti a tutto il lavoro non dipendente (a prescindere dal come sia declinato, e se lo sia per scelta o per costrizione). E che possono così venir sintetizzati:
– Affermare in tutte le sedi il principio della pari dignità tra il lavoro dipendente e non dipendente. Che va declinato di conseguenza nelle politiche sui diritti, il reddito, il welfare e l’assistenza, anche promuovendo uno Statuto del lavoro autonomo, per quanto gli è di specifico.
– Porre la questione del reddito al centro delle politiche per i non dipendenti, in riferimento all’art. 36 della Costituzione sul diritto a una retribuzione “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. In questo senso va anche rilanciata con forza una battaglia per l’applicazione di un equo compenso, che sia rapportabile alla retribuzione di un dipendente, e ciò sia nell’ambito dell’attuazione della legge 233/2012 che di accordi contrattuali.
– Vanno approfondite tutte le iniziative, sia d’interlocuzione interna che istituzionale, per giungere a un welfare e a pensioni adeguate per i lavoratori autonomi, anche tramite misure universali di sostegno al reddito.
– Va riformata, come indicato nella mozione approvata al XXVII Congresso Fnsi di Chianciano, la rappresentanza del lavoro autonomo. Sia nelle aziende (Cdr), sia dotando Commissione e Assemblea nazionale lavoro autonomo Fnsi di quegli strumenti e possibilità d’iniziativa, finora mancanti, per poter esercitare un ruolo più attivo e incisivo.
Scopo di Commissione e Assemblea nazionale, e delle Commissioni regionali, deve essere quello di divenire un credibile punto di riferimento, aggregazione e integrazione nella Fnsi di quel variegato mondo del lavoro non dipendente, oggi in larga parte distante dalle strutture sindacali tradizionali. Ma ruolo, regole e spazi operativi attuali di Commissione e Assemblea nazionale sono oggi inadeguati a tale scopo: per questo bisogna riflettere e intervenire in questa direzione anche nell’ambito delle previste riforme statutarie della Fnsi.
Sono questi solo alcuni appunti, qui proposti per sviluppare tra gli autonomi, nel sindacato, e più in generale nella categoria, un ampio confronto. Dal quale trarre scelte quanto più possibile condivise, ma segnate dalla consapevolezza di essere necessarie, urgenti e non rinviabili. In questo senso è anche urgente attuare la “Conferenza organizzativa della Fnsi sulle problematiche del lavoro autonomo e della precarietà”, voluta dal Congresso di Chianciano, che dev’essere uno dei luoghi di confronto e poi di decisioni sul tema.
Partendo dal presupposto, come detto fin dall’inizio, che “ora è il tempo degli autonomi”. Dove quell’ “ora” sta a rappresentare tutta l’urgenza del problema, e delle politiche conseguenti.
*Consigliere nazionale Fnsi, coordinatore della Commissione nazionale lavoro autonomo