Significativi gli editoriali che accompagno queste sofferte decisioni. Scrive infatti la direttora Tiziana Bartolini, che guida la testata dal 2000. “I costi di gestione e la crisi dell’editoria sono alcune delle cause alla base di questa decisione. Accanto a ragioni strutturali, che investono tutto il sistema dell’informazione non solo a livello nazionale, ve ne sono altre, di ordine politico, su cui si può aprire una discussione.”. Ma quali siano queste ragioni resta un po’ avvolto nel mistero: “il paradosso, per quanto i riguarda ¬- si legge più avanti – è che la pesante crisi economica di questi anni non ha inciso negativamente sulle vendite del giornale”.
E allora? Si tratta forse della “frammentazione” dei movimenti delle donne che evidentemente non gioca a favore? La formula non era più adeguata ai tempi? Oppure c’è meno bisogno di giornali fatti dalle donne? Certamente c’è il dolore di una perdita ma anche l’orgoglio “di avere fatto il possibile affinché questa narrazione non si interrompesse nella forma cartacea”. Per questo (e anche per riconoscenza verso le tante amiche abbonate) il numero di Noidonne di dicembre tornerà a colori. Un addio che non è definitivo in quanto la rivista non vuole negarsi la possibilità di un futuro anche se virtuale. E per sostenere il sito lancia l’agenda Noi donne cult del 2017 dedicata alle vignette di Cristina Gentile.
Ma la riflessione è aperta. Perché sconcertante, e per certi versi misteriosa, era stata anche la fine di Via Dogana. Scriveva Vita Cosentino dell’editoriale dell’ultimo numero, non è una questione di soldi (il bilancio è in attivo), né di passaggio all’on-line (esiste già il sito www.libreriadelledonne), né di contrasti interni. Il problema è la rispondenza meno forte e meno sentita fra la rivista e quello siamo oggi. E dunque occorre percorrere strade nuove, trovare forme politiche inedite.
Quali siano queste forme inedite non è dato di saperlo, resta la certezza di un cambiamento importante cui le riviste hanno contribuito con tuttavia la precisa sensazione di non essere ancora arrivate in porto perché l’essenziale non è raggiunto.
Difficile sintetizzare in poche righe la complessa storia di Noi donne, vale la pena comunque di ricordare come la testata, uscita dalla clandestinità nel lontano 1944, intendesse sollecitare nell’Italia liberata la sviluppo di un movimento di donne. Un foglio politico che non rinunciava a parlare di temi che per tradizione le donne trovano nei giornali femminili (narrativa, moda, cucina), diventando poi dal 1945 rivista dell’Udi, dalla quale, dopo alterne vicende, si staccherà negli anni ’90 pur mantenendo pratiche di relazione e collaborazione. Leggendo fra le righe del sito che ne descrive la storia, si nota solo una strana censura del periodo che va dalla metà degli anni ’80 al 2000 e che ha visto la direzione di donne autorevoli, come Mariella Gramaglia, Franca Fossati e Bia Sarasini. Una dimenticanza? Forse fa semplicemente parte delle contraddizioni (irrisolte) dei movimenti delle donne.