Al via il Terzo incontro mondiale, da 64 Paesi in dialogo su diritto alla terra, alla casa e al lavoro. Sabato 5 novembre udienza da Papa Francesco: anche noi ci saremo con un’ampia delegazione della Tavola della pace.
Sono arrivati dalle periferie dell’economia globale. Dai margini di quel sistema che scarta mezzi e artefici della produzione, tre miliardi di persone nel mondo. Alcuni hanno fatto la lunga strada dal Nord al Sud del pianeta. Altri appena qualche migliaio di metri perché anche in Europa gli esclusi abbondano. Come pure le loro risposte creative all’ingiustizia. ‘Seminatori di cambiamento’ e ‘poeti sociali’, li ha definiti papa Francesco. Con il loro bagaglio di lotte impari e sogni resistenti, oltre 22 delegati dei Movimenti popolari da 64 Paesi sono tornati in Vaticano per il terzo incontro mondiale.
Una nuova tappa di un percorso cominciato sempre a Roma nell’ottobre 2014 e proseguito a Santa Cruz de la Sierra nel luglio 2015. «Questa è la fase dell’azione. Basandoci sul metodo della Dottrina sociale della Chiesa: vedere- giudicare-agire, possiamo definire il primo come l’appuntamento della conoscenza reciproca tra noi e il Papa. Il secondo è stato il momento del discernimento e della riflessione, sintetizzati da Francesco in tre linee guida: mettere l’economia al servizio dei popoli, unire questi ultimi nel cammino della pace e della giustizia, difendere la Madre Terra. Ora ci tocca agire: lo facciamo già nei rispettivi Paesi.
Si tratta di stabilire un maggior coordinamento e condividere le ‘buone pratiche’» –, spiega ad Avvenire Juan Grabois. Questo avvocato argentino, da giugno consultore di Giustizia e Pace, è uno dei pilastri de- gli incontri. Grabois alterna l’attivismo nel Movimento dei lavoratori esclusi (Mte) con la toga e l’insegnamento universitario. Il suo impegno è cominciato dopo la crisi del 2001 quando, l’allora giovane rampollo della ‘borghesia bene’, vedeva, ogni sera, i coetanei cercare il cibo nella spazzatura. Il dolore concreto di quei volti l’ha chiamato in causa, racconta.
È nato così il Mte, movimento di ‘poveri che non si rassegnano’ e creano forme di auto-impiego, dai riciclatori di rifiuti alle fabbriche recuperate. L’esperienza aveva toccato il cuore dell’allora cardinale Bergoglio con cui il Mte collaborava per la Messa annuale dedicata alle vittime di tratta e sfruttamento. Da qui, la scommessa di far incontrare la Santa Sede e i movimenti popolari. «L’idea, espressa più volte dal Papa, è che i poveri non sono solo vittime da assistere, bensì protagonisti del cambiamento – sottolinea Grabois -. La Chiesa li accompagna nello sforzo per costruire società inclusive». Il filo rosso sono i diritti fondamentali dell’essere umano, riassunti nelle tre ‘t’: tierra, techo, trabajo (terra, casa e lavoro). «Stavolta, però, abbiamo aggiunto due temi trasversali. Le crisi migratorie e il rapporto tra popoli e democrazia». Una questione quest’ultima quanto mai scottante dato l’incalzare di anti-politica e populismi. E intimamente connessa alla cifra di questo terzo appuntamento.
L’azione dei movimenti popolari li ‘costringe’ a entrare nel terreno politico. «La maggior parte di noi è nata durante la crisi di rappresentatività di sindacati e partiti. All’inizio, dunque, rifiutavamo la politica. Ora dobbiamo stabilire con essa un rapporto nuovo», afferma Grabois. Tale relazione è cruciale, non solo perché i gruppi popolari possano incidere sulla sfera pubblica. «La mancanza di partecipazione popolare ha privato la politica della sua capacità di trasformazione. Svuotando la democrazia. E riducendola a un simulacro. Non possiamo, però, rassegnarci alle attuali ‘mediocrazie’, in cui élites e grandi imprese impongono l’agenda manipolando i media.
L’antidoto al populismo e alla politica-spettacolo resta il protagonismo dei cittadini organizzati ». In particolare di quanti creano, nel quotidiano, frammenti di altri mondi possibili. Come ha affermato Francesco a Santa Cruz: «Da quei semi di speranza piantati pazientemente nelle periferie dimenticate del pianeta, da quei germogli di tenerezza che lottano per sopravvivere al buio dell’esclusione, cresceranno alberi grandi, sorgeranno boschi fitti di speranza per ossigenare questo mondo».
Fonte: www.avvenire.it