Lo scrivono il direttore Tommaso Cerno e il capo redattore Lirio Abbate, dopo l’ambiguo attacco dell’imputato, il 24 ottobre a Roma, durante il processo
“Carminati attacca l’Espresso. Il boss non ci ferma”, scrive il settimanale l’Espresso in una colonna bianca inserita in prima pagina, con una scelta grafica insolita per le sue copertine, per dire con la massima evidenza che respinge a viso aperto il tentativo di intimidazione che sembra trasparire dalle parole pronunciate il 24 ottobre 2016 da Massimo Carminati, il principale imputato dell’inchiesta “Mafia Capitale”, nell’aula giudiziaria in cui si svolge il processo a suo carico.
“Il boss prova a intimidirci. Non ci ferma”, aggiunge il settimanale nel titolo interno della pagina che ospita due editoriali: quello del direttore del settimanale, Tommaso Cerno, e quello del caporedattore Lirio Abbate. Entrambi sottolineano il riferimento di Carminati all’inchiesta “Ricatto alla Repubblica”, (leggi) firmata da Lirio Abbate e Paolo Biondani una settimana prima.
In quell’inchiesta l’Espresso ha rivelato i nomi di 147 fra magistrati, avvocati e professionisti rimasti vittime, 17 anni fa dello svuotamento delle loro casette di sicurezza custodite all’interno di una banca situata all’interno della città giudiziaria di Roma, a causa di un furto avvenuto alla vigilia della sentenza per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Dietro quel furto di valori e documenti, fra i mandanti, ha scritto l’Espresso, ci sarebbe stato proprio Carminati e quel furto di documenti avrebbe alimentato da allora a oggi un colossale ricatto politico e giudiziario.
Il fatto che Carminati abbia scelto di rompere il silenzio davanti ai giudici, commenta Lirio Abbate, “ci fa comprendere quanto è importante l’informazione libera che agisce senza la catena di trasmissione di inquirenti o investigatori. Ma ragiona, denunciando fatti che molti vogliono nascondere”.
Carminati, imputato nel processo Mafia Capitale, si era lamentato di essere “sempre in prima pagina” e aveva sferrato al settimanale un “ambiguo attacco” durante un’udienza. (leggi) A far risentire il boss era stato l’articolo di Abbate e Biondani, nel quale veniva accusato di essere uno dei beneficiari dei furti di valori e documenti conservati in quelle 147 cassette di sicurezza della banca del palazzo di giustizia di Roma, in piazzale Clodio. Atti che sarebbero serviti a ricattare magistrati, avvocati, funzionari della Giustizia.
Le parole di Carminati, scrive Cerno su l’Espresso “ci stimolano a fare il contrario di quello che ci viene chiesto dall’imputato Carminati: ci stimolano ad andare avanti. Perché ora sappiamo una cosa. E’ lui ad avere paura dei giornali. Non certo l’Espresso di lui e del suo potere”.
RDM ASP