Tonio Dell’Olio
“Quello che fece la Bindi è stata una cosa infame, da ucciderla. Ci abbiamo rimesso 1.5 – 2 per cento di voti. Atti di delinquenza politica. E non c’entra la moralità, era tutto un attacco al governo Renzi”.
Questa è la trascrizione delle affermazioni che Vincenzo De Luca ha fatto in coda a un’intervista di una trasmissione Mediaset.
Il rancore così forte di De Luca nei confronti della Bindi è dovuto all’iniziativa della Commissione Parlamentare Antimafia, di cui la Bindi è presidente, di rendere pubblico un elenco di candidati impresentabili alla vigilia della tornata amministrativa elettorale.
Se anche Rosy Bindi avesse commesso qualche errore istituzionale in quel momento, le affermazioni di De Luca di oggi ci confermano che aveva ragione ad inserirlo in quella lista.
L’impresentabilità di un politico non è costituita esclusivamente dalle condanne definitive che ha subito ma anche da linguaggi, comportamenti e condotte che si oppongono ai valori costituzionali e democratici che quella persona si candida a rappresentare (vedi art. 54 della Costituzione).
Ma a quanto pare questo parlare sulle righe e gridare più forte oggi rischia di diventare un merito speciale da riconoscere e premiare anche elettoralmente. Il nostrano De Luca si sente incoraggiato da tutti gli “esempi” di questo tipo distribuiti nel mondo da Trump in giù. Nelle Filippine Duterte riesce a fare decisamente “meglio”.
Ma guai a chi si rassegna.
E per questo sento di schierarmi decisamente dalla parte di chi stila elenchi ragionati di impresentabili.