L’Associazione Carta di Roma, fondata dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione della Stampa, che si occupa dell’applicazione del protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione e dell’asilo, aderisce alla giornata di mobilitazione indetta dalla Fnsi per sensibilizzare la categoria e la classe politica affinchè vengano approvati i provvedimenti legislativi in grado di abrogare il carcere per i giornalisti e porre un argine alle cosiddette “querele temerarie” utilizzate il piu’ delle volte come strumento di minaccia contro colleghi che fanno in pieno il loro dovere, cercando di contrastare mafia, corruzione e malaffare, spesso sottopagati e senza contratto.
Provvedimenti necessari per difendere la nostra professione dai tanti che vogliono sempre più limitare e condizionare il diritto di cronaca. Una campagna che punta a tutelare chi , in buona fede, racconta i fatti, salvo il diritto sacrosanto di ciascuno di far valere i propri diritti davanti ad un tribunale quando ritiene di essere stato diffamato. Il giornalismo d’inchiesta, quello che cerca di scavare e non si accontenta di rilanciare le veline del potente di turno, deve essere salvaguardato sulla base del principio guida della nostra professione, sancito dalla legge istitutiva dell’Ordine del ‘63 , che impone a tutti i giornalisti il dovere di restituire la “verità sostanziale dei fatti”.
Colgo in questo caso anche l’occasione per rilanciare una campagna che sta molto a cuore alla nostra associazione come alla Fnsi, in particolare in questa fase di populismi trionfanti, quella contro il fenomeno dell’hate speech, dei discorsi d’odio che stanno prendendo sempre più piede nella nostra comunicazione, sui giornali, in televisione e soprattutto sul web.
Gli esempi più noti vanno dalle minacce ed insulti razzisti che, rilanciati da molti giornali e siti web, colpirono in passato l’ex ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge, fino al titolo a 4 colonne “Bastardi islamici” di Libero dopo gli attentati dei terroristi islamici a Parigi nel novembre del 2015, con l’intento non troppo nascosto di alimentare l’odio verso l’Islam e lo stereotipo “tutti i musulmani sono terroristi”.
Bloccare l’hate speech, i discorsi di odio, non è censura, ma un dovere professionale per chi fa informazione. Questo è il punto di partenza della campagna che la nostra associazione Carta di Roma ha lanciato nell’autunno dell’anno scorso.
Alcuni hanno tentato di far passare la lotta contro l’hate speech come una forma di censura, mentre secondo noi bloccare i discorsi d’odio non solo non è censura ma un dovere professionale per chi fa informazione , evitando di propagare messaggi di discriminazione e odio. Il concetto è semplice: se una persona dice, ad esempio, che il ministro Kyenge deve ‘bere acido muriatico’ (come pubblicato sul sito di qualche giornale) chi parla di censura dovrebbe dimostrare che queste sono opinioni e libere manifestazioni del pensiero e non invece, come evidente, insulti.
La campagna “#nohatespeech – giornalisti e lettori contro i discorsi d’odio” è stata avviata con una raccolta firme su change.org e poi attraverso manifestazioni ed eventi con altre associazioni che trattano questi temi. Un’iniziativa rivolta a giornalisti ed editori, ma non solo: per l’associazione si tratta di una “campagna di civiltà” che riguarda e coinvolge anche i lettori e gli ascoltatori. Un appello generale, rivolto alle coscienze e alle responsabilità di tutti.
Ai giornalisti la campagna chiede di non restare passivi di fronte ai discorsi d’odio perché non sono semplici opinioni. Trovando il loro fondamento nel razzismo, sono brutali falsificazioni della realtà e contraddicono non solo i principi basilari della convivenza civile, ma tutte le acquisizioni scientifiche. E’ un dovere professionale confutare le affermazioni razziste, chiarire ai lettori e agli ascoltatori la loro falsità intrinseca.
Per questo motivo il tema delle dichiarazioni che incitano all’odio è stato riportato con enfasi nella nuova edizione aggiornata delle Linee Guide di Carta di Roma (scaricabili dal sito www.cartadiroma.org) che invita tutti i giornalisti che riportano frasi e dichiarazioni che possano costituire casi di hate speech a riflettere su alcuni punti chiave, come la posizione e lo status di chi parla, la portata e gli obiettivi del discorso, il contenuto e la forma e infine il clima sociale e politico in cui il discorso viene pronunciato.
Per questo motivo Carta di Roma invita le redazioni giornalistiche che ancora non si sono attrezzate al riguardo, a sviluppare degli strumenti di moderazione, con l’intervento di amministratori o social media manager ad hoc in grado di bannare commenti razzisti con l’obiettivo finale di riportare la discussione su toni per lo meno accettabili.
*vicepresidente Associazione Carta di Roma