L’ “affare Bersani” sta creando un grosso problema a Renzi.
Il romagnolo gode ancora di molto consenso tra gli iscritti e il “fuori-fuori” della Leopolda non ci voleva. La Boschi minimizza. La Serracchiani drammatizza. Gli altri tacciono. Ma gli iscritti, quando arriva lui, corrono ancora a sentirlo, come è avvenuto in Sicilia. Ora, le cose si sono ancor più complicate, da quando Bersani dal nì è passato al no sul referendum. Vista la provocazione di Renzi di aver tenuto nel cassetto la richiesta di cambiamento della legge elettorale da luglio – quando c’era il tempo per modificarla con una legge prima del referendum – salvo poi tirare fuori un foglietto, per far rientrare Cuperlo.
Bersani non è Cuperlo. Di grande spessore entrambi, ma il primo è tosto e stagionato. E non lo si può ammansire con un foglietto.
Ora la rottura tra Renzi e la minoranza è conclamata.
Se vincerà il sì, sarà spietata la vendetta di Renzi e il PD diventerà una nuova DC ambidestra, tutta stretta intorno al Capo, che imporrà il trattamento minoritario obbligatorio per i dissidenti, progressivamente esclusi da cariche e candidature. Se vincerà il no, Renzi sarà indebolito, ma non debellato. E le elezioni anticipate riconfigureranno il nuovo quadro politico nazionale, con delle sorprese. Forse anche quella che nessuno avrebbe previsto: un’inedita convergenza su pochi punti di programma tra sinistra e grillini. La prima ritornata in primo piano anche nel PD, in attesa del congresso. I secondi, bisognosi di superare l’impasse del Comune di Roma e di togliersi di dosso il giudizio di abili per l’opposizione, ma non per il governo.
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