Esprimo la mia opinione personale: ha ragione Vincenzo Vita nel denunciare la totale non applicazione delle antiche regole della par condicio, del riequilibrio, del rispetto dei diritti dei cittadini ad essere informati in modo imparziale. La Rai ha mancato più volte nel recente passato a queste regole, ma in modo meno plateale di quanto sta accadendo adesso con il referendum costituzionale. Forse tutto questo ha una logica e forse è perfino pedagogico per noi utenti del servizio pubblico.
La Rai, intesa come i suoi vertici comprensivi di AD e direttori tutti, è un monocolore renziano o, se vogliamo allargarci, governativo (certamente qualche dirigente non così allineato c’è, ma mai così pochi).
Nella tormentata storia della Rai della stagione maggioritaria, lo spoil system applicato dai governi in carica, compresi i lunghi anni di Berlusconi, ha sempre tenuto conto, magari malvolentieri, di una piccola area di opposizione (ricordate come la chiamavano in tanti, la ridotta di Rai 3), e di una piccola area da loro stessi definita “professional”, anche perché erano indispensabili le mediazioni all’interno del consiglio di amministrazione. Oggi la legge consente all’AD di fare quello che vuole, scegliere e nominare. Il risultato è stato effettivamente una novità: tutti i direttori fanno riferimento alle aree politiche strettamente di governo e la motivazione è anche facile da sostenere, il maggioritario è finito e la Rai per legge (già dalla legge Gasparri) è tornata esclusivamente sotto l’egida del governo in carica. A questo si aggiunge un accodarsi effettivamente un po’ penoso di conduttori di ogni età e delle più varie provenienze che sembrano quasi platealmente aver contrattato una esternazione filogovernativa in cambio di un programma, di una trasmissione anche a notte fonda, di un passaggio televisivo, di acquisizione di diritti, e potrei continuare con l’antico straordinario slogan “di tutto di più”.
Ora, cosa è tutto questo se non la plastica rappresentazione di come governerà quello che diventerà il partito della nazione con una Costituzione cambiata nella logica di ridurre i poteri del parlamento e ampliare quelli del governo? La Rai, una volta ancora, anticipa la politica del paese e il paese stesso, un’attitudine che dai tempi dell’Eiar non ha mai perduto. In fondo il punto è proprio questo: da una parte il progetto di governi molto forti, presidente del consiglio che comanda su tutto, tiene in pugno anche le Regioni, parlamento che legifera ma è in subordine al governo, stabilità e voto ogni cinque anni senza rischi per chi è a Palazzo Chigi. Oppure parlamento forte, che legifera e controlla il governo, che applica dei contrappesi quale che sia la coalizione vincente, che in un modo o nell’altro fa sentire la voce delle minoranze, ma mette i governi a rischio di cadere e quindi di elezioni anticipate.
La Rai di Renzi ha scelto la prima opzione e va dritta per la sua strada, costellata di flop assoluti, di occasioni mancate, di programmi prevalentemente mediocri, e ovviamente anche di molte cose buone. Niente di tutto questo di cui parliamo è il “male assoluto”. Ma è vivere in una società in cui gli spazi di democrazia sono ridotti e andranno a ridursi in modo sempre più significativo. In cui i giornalisti liberi saranno sempre meno sopportati, più querelati, più minacciati, in cui l’articolo 21 andrà lentamente riducendosi per tutti, senza editti bulgari, senza eventi catastrofici, ma così, per consunzione lenta, per non disturbare i manovratori in nome della stabilità.