“Mi ricandido”, la quarta volta di Angela Merkel, Corriere della Sera. Ancora Lei, dopo 11 anni. Con l’endorsement di Barack Obama e la speranza della destra tedesca che la cancelliera sappia ancora tener testa all’estrema destra. Sia chiaro, è l’unica statista che abbiamo in Europa. Ma ha delle grandi colpe. Ha convinto i suoi connazionali che i paesi del sud, quelli che si godono le brezze mediterranee, lavorano poco e campano a debito. Solo il popolo tedesco, con i suoi sacrifici, porterebbe sulle sue spalle il peso dell’Europa. Così ha nascosto che grazie all’Euro e la politica del pareggio di bilancio, la Germania stava riempiendo le sue casse di riserve valutarie e capitali. Non ha spiegato che la sua egemonia sull’Europa stava donando alla Germania quello che il Reich non era riuscito a strappare con due guerre: una disponibilità finanziaria all’altezza del potenziale industriale. Ma così un buon affare potrebbe essere avvertito dai tedeschi come un sacrificio. Ha accolto migranti siriani, colti e disperati – anche questo un buon affare – ma quando la polizia tedesca ha allentato la guardia, lasciando la piazza di fine anno a orde di immigrati repressi e misogini, quel buon affare è parso ai tedeschi un errore. Ha puntato su Cameron e si è trovata la Brexit. Perderà la spalla Hollande, altro cavallo perdente. Ha aperto ai confratelli dell’est, come lei vittime della memoria sovietica, e si è trovata Orban. Ha appoggiato Maidan (la rivoluzione ucraina) ed è finita in rotta di collisione con Putin, fornitore di gas e prezioso partner commerciale. Ha affermato un’idea della destra, ma se ne trova una molto diversa, quella di Trump. Ha lasciato che i suoi ministri criticassero Draghi, che pure ha salvato l’Europa a guida tedesca. Ha affondato la Grecia senza onore né ragione. Puntava Renzi e lo ha scoperto inaffidabile. Il suo populismo, tedesco e prudente, rischia di non essere più compreso in Germania.
Né Sarkozy né Juppè. Ieri 4 milioni di francesi, davvero tanti, hanno votato per scegliere il candidato della destra post gollista. Quello che dovrà far dimenticare l’impopolarissimo Hollande e sbarrare il passo alla Giovanna d’arco dell’estrema destra, Marine Le Pen. Ha vinto Fillon che fu primo ministro di Sarkozy e con lui litigò aspramente. Ha vinto doppiando Sarkò e mandandolo per sempre lontano dalla politica, a godersi la sua Carla. Ma Fillon ha pure staccato in modo severo, 44% contro 28%, il settantenne Alain Juppè, a cui gli elettori della destra non hanno perdonato il dialogo con il centro di Beyrou, troppo vicino ai socialisti. Domenica prossima, lo spareggio Fillon Juppé. Ma tutto lascia pensare che il candidato sia già stato scelto. Chi è questo Fillon e cosa proverà a fare? Un super liberista: fulmini e saette su quanto resta del welfare francese. Un gollista che rifiuterà di imitare Le Pen. Contando di arrivare al prendersi al ballottaggio e di prendersi anche voti di sinistra, ma senza chiederli né far concessioni. La Repubblica titola: “Francia, la destra cancella Sarkozy”. E forse spera in una leadership Merkel Fillon.
La Fiom? Difende la casta. Parola di Matteo Renzi, di nuovo in televisione, da Lucia Annunziata, per un faccia a faccia con Maurizio Landini. Il premier cerca i voti della destra, quello lo hanno capito tutti. Chiede scusa per aver definito il No “un’accozzaglia”, ma poi conferma: le tute blu, invece di ringraziarlo per gli 80 euro, difendono i privilegi e “i consigli regionali”. Landini lo accusa di aver diviso il paese, con le sue riforme irragionevoli e confuse. “I padri costituenti – ricorda il sindacalista – fecero acrobazie per unire, non vorrei che dopo gli acrobati arrivassero i clown”. Ma i telegiornali della Rai riproducono soltanto insulti e battute del premier. Abbiate pazienza, ancora due settimane. Intanto leggete Ilvo Diamanti. Scrive perché non lo convinca la democrazia im-mediata affermata da Renzi. Perché gli sembri un’imitazione, pericolosa, dell’illusione a 5 Stelle. “Così a volte – conclude Diamanti – provo un po’ di nostalgia. Dei (buoni) partiti. Capaci di rappresentare la società. Capaci di indicare percorsi futuri, perché hanno un passato, una storia. E ammetto la mia preferenza per la democrazia rappresentativa. Per la “buona” mediazione, realizzata da “buoni” mediatori.