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“La corruzione oggi è soprattutto un modus vivendi”. Intervista a Vincenzo Musacchio

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Gli studenti del Liceo Classico “Meli” di Palermo hanno rivolto alcune domande a Vincenzo Musacchio, esperto di diritto penale sostanziale e di reati contro la pubblica amministrazione e collaboratore di Articolo21.

Partiamo dalla domanda più scontata: cos’è la corruzione oggi?
Darò la risposta meno scontata. La corruzione oggi è soprattutto un modus vivendi, cioè un comportamento che sostanzialmente viola le regole della civile convivenza e i principi morali che ad essa sovraintendono. L’essere umano sostanzialmente persegue l’utile e oggi si trova di fronte ad una scelta consapevole: rinunciare all’utile a cui si tende, rimanendo moralmente retti ed integri oppure realizzarlo violando, comunque, i valori morali. La corruzione può essere multiforme: pago per ottenere qualcosa che avrei diritto di avere, ma che in una pubblica amministrazione inefficiente non ho (es. la concessione edilizia, l’appalto, una pubblica sovvenzione); poi, siccome l’appetito vien mangiando, mi rendo conto che posso pagare anche per ottenere qualcosa che non era mio diritto avere. Con la corruzione in sostanza c’è qualcuno più furbo degli altri che accede al mercato in condizioni di superiorità nascoste, perché paga il potere pubblico e ottiene qualcosa che gli altri non hanno. Oggi la corruzione conviene soprattutto perché chi la realizza rischia poco o nulla in termini repressivi e per assurdo in alcuni casi risulta anche esempio da imitare per avere successo.

Ma come nasce la corruzione e perché l’Italia è il paese più corrotto d’Europa?
A mio giudizio a fare la differenza non è il luogo o il ceto sociale di appartenenza, ma il vigore con cui i valori morali sono praticati e sostenuti dalla famiglia e dagli altri organismi educativi (scuola, chiesa, società civile) che formano l’essere umano. Mi pare logico oltre che sostenibile come possa essere improbabile pensare che un soggetto che abbia ricevuto cattivi insegnamenti possa creare un mondo più sano di quello nel quale si è formato. Mi pare altrettanto ovvio che esser cresciuti  in ambienti con relazioni sane, con forti principi morali, porti ad essere meno corruttibile di chi è inserito in un mondo dove i favori e le tangenti non hanno connotazione negativa, ma sono vissuti come comportamenti naturali. L’Italia è il paese più corrotto d’Europa perché dal 1992 ad oggi non abbiamo fatto nulla per prevenire e reprimere la corruzione. Nel frattempo il mondo cambiava, cambiavano sia la pubblica amministrazione che il modo di corrompere ma noi non ci siamo, politicamente, socialmente e giuridicamente adeguati a questi cambiamenti. Siamo un Paese che da questo punto di vista deve fare ancora molta strada.

Lei cosa propone per combattere la corruzione?
Assieme al Governo spagnolo, al Ministero della Giustizia e dell’Interno, ho lavorato ad un progetto di ricerca dell’Università di Siviglia proprio sulle strategie di lotta alla corruzione. In breve, la mia idea è una simbiosi tra prevenzione e repressione sulla base di istituti propri della lotta alle mafie. Nel mio progetto è utilizzato il sistema del doppio binario: premiale e punitivo. Per darvi un idea, ritengo utile premiare il corruttore e punire con il massimo della pena il corrotto (specie se funzionario pubblico o politico). Non c’è nulla di nuovo: è lo stesso sistema che Giovanni Falcone applicava ai mafiosi pentiti. Si deve avere il coraggio di “premiare” con la non punibilità (o con la punibilità affievolita al massimo) chi ha pagato una mazzetta. Qualsiasi politico o pubblico ufficiale corrotto deve temere di avere davanti a sé un potenziale delatore. Nella mia ideologia di lotta alla corruzione la legalità non può essere soltanto un valore formale. Alla base di una seria concezione della legalità ci deve essere la cultura della reputazione, del merito, della capacità di realizzare senza il bisogno di bustarelle e della vergogna nei confronti di chi, per realizzare, ha bisogno di pagare bustarelle. Insomma la legge deve essere il mezzo per far si che corrompere ed esser corrotti non convenga più a nessuno.

Vincenzo Musacchio ha iniziato la sua carriera come ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna. E’ divenuto poi professore a contratto presso l’Università degli studi del Molise e presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma, dove si è occupato prevalentemente di diritto penale sostanziale e di reati contro la pubblica amministrazione. In questo contesto ha fatto parte di molteplici progetti di ricerca nazionali ed internazionali in materia di strategie di lotta alla corruzione, insieme ai colleghi Carmen Gomez Rivero dell’Università di Siviglia, Paz Mercedes de la Cuesta Aguado dell’Università di Cadice e di Yahong Zhang dell’Istituto Nazionale di Studi sulla Corruzione di Newwark negli Stati Uniti d’America. Attualmente è considerato tra i maggiori esperti di strategie di lotta alla corruzione nel nostro Paese.

 


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