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India, giornalista in carcere protesta e viene picchiato

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Santosh Yadav, giornalista dello stato indiano di Chhattisgarh, è in carcere dal 29 settembre 2015 per aver violato la Legge speciale sulla sicurezza e quella per la prevenzione di attività illegali. Le accuse nei suoi confronti sono pesanti: disordini, cospirazione, omicidio e appartenenza a un gruppo armato fuorilegge, il Partito comunista dell’India / Maoista. Accuse secondo molti pretestuose e rese possibili dal contenuto ampio e generico delle due leggi, che possono colpire anche attività legittime e pacifiche e delle quali gli organismi sui diritti umani delle Nazioni Unite hanno più volte chiesto il ritiro.

Yadav sarebbe stato preso di mira per il suo impegno in favore delle comunità adivasi (gli abitanti aborigeni dell’India) del distretto di Bastar. Non sarebbe neanche il primo caso di una persona accusata di reati violenti o di terrorismo per aver denunciato la situazione dei diritti umani nello stato di Chhattisgahr.

Il 2 novembre Yadav e altri sette prigionieri sono stati picchiati per aver protestato contro la pessima qualità del cibo fornito nella prigione di Jagdalpur. Il giorno dopo, gli otto detenuti sono stati incriminati per il reato di rivolta.
Non si riesce ancora a sapere quali siano le condizioni di salute di Yadav, che il 4 novembre è riuscito a fare una breve telefonata ai familiari, da un ospedale dove era stato ricoverato. La direzione del carcere di Jagdalpur ha sospeso le visite ai detenuti.
Ad agosto, Yadav aveva fatto sapere ad Amnesty International che era stato minacciato di morte da un compagno di cella.

Lo stato di Chhattisgarh ha il triste record delle prigioni più sovraffollate dell’India: nel 2015 i detenuti erano oltre il 233 per cento in più rispetto ai posti a disposizione. I servizi igienico-sanitari sono del tutto inadeguati. Chi protesta, abbiamo scoperto a cosa va incontro…


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