Il Tacco d’Italia è tornato. Nel 2014 e per due anni gli è stata tolta la voce – dopo 10 anni di uscite ininterrotte – con un attacco hacker a più riprese che ha gravemente danneggiato il database. Oltre 30mila “pezzi”, tra semplici notizie e inchieste, e oltre 10mila foto di cronaca, inclusi reportage di denuncia sociale, ambientale, di mafia. Un patrimonio economico e di memoria storica andato perduto. Siamo riusciti a recuperare integralmente le inchieste, ma abbiamo perso buona parte dell’archivio fotografico.
Chi ha buona memoria – serve la memoria, perché è proprio la memoria storica di un intero territorio che si vuole compromettere – ricorderà che già una volta l’archivio fotografico del Tacco fu rubato con un’azione spettacolare: buttarono giù il muro della redazione e lo fecero in più riprese. Loro buttavano giù la notte, noi rimettevamo su di giorno. Alla fine riuscirono a rubare gli hard disk. I ladri, ben sei per 5 pc senza valore, furono presi. Alcuni erano minorenni e non ci costituimmo parte civile.
Avevamo pena per quelle vittime, vittime come il Tacco, della mafia. Non erano loro le menti di un’azione criminale con la finalità di cancellare la memoria dei fatti. La memoria dei fatti induce all’esercizio critico del racconto consequenziale: si ricordano i fatti, si mettono in fila, se ne ricava il senso, contestualizzandolo rispetto alla Storia, cioè agli altri fatti. E’ questo che da fastidio, più di ogni altra cosa. L’esercizio intelligente della memoria. La cronaca persa nel fluire quotidiano degli eventi non da fastidio. La lettura dei fatti, attraverso l’uso della memoria sì.
Ora, anche se non eravamo pronti con il nuovo portale, abbiamo deciso di uscire, perché quella che doveva essere la nostra inchiesta di “lancio” sul boss della scu Augustino Potenza chiedeva di essere pubblicava in fretta a seguito di un fatto di sangue: l’assassinio con 18 colpi di kalashnikov in un centro commerciale proprio del boss, considerato dalla DNA una delle personalità di spicco della nuova scu nel basso Salento, con base a Casarano, sede del Tacco d’Italia.
L’inchiesta su “l’Italiano”, questo il suo soprannome, è stato un lavoro difficile, durato due anni. Difficile incastrare un tassello avanti l’altro per ottenere il puzzle degli interessi delle nuove leve della sacra corona unita nel Salento. Distinguere i pettegolezzi dalle fonti attendibili, convincerle a fidarsi e a rompere l’omertà, incastrare le fonti confidenziali con quelle documentali, trovare riscontro nelle foto e nelle visure camerali. Incrociare date, indirizzi, nomi. Scartare quello che sai e che non puoi ancora scrivere. Fare sopralluoghi. Ci sono inchieste che lievitano come il pane buono, lentamente. Ma l’assassinio del boss Augustino Potenza ci ha costretto a dare un’accelerata e ad uscire con il Tacco in versione “beta”. Non potevamo più aspettare. E’ perfettibile, ma il Tacco c’è.
E doveva esserci proprio ora, per dare un segnale di forza ad un territorio attonito, sotto shock, perché la platealità con cui è stato ucciso, alle ore 18, nel parcheggio del più grande centro commerciale della zona, dove tutti, a quell’ora, fanno la spesa, ha lasciato chiaramente intuire che la scu è molto più radicata di quanti si pensi. Con quest’episodio, ha dichiarato il procuratore di Lecce Cataldo Motta, è finita la pax mafiosa che durava da anni. Si aprono nuovi scenari e serve, ora, una voce in più. La DNA nell’ultima relazione ha scritto che il Salento è soggetto ad una sorta di “oblio” della mafia. Nelle 900 pagine della relazione la parola “oblio” viene usata solo una volta, e solo in relazione al Salento. Ecco, io credo che l’informazione onesta strappi i cittadini all’oblio delle coscienze e li metta di fronte alle proprie responsabilità. Questo non piace, questo da fastidio. Ma questo serve e come giornalista non voglio sottrarmi al mio dovere.