Il Papa ha rubato la scena! Alla politica, alla tribuna referendaria, alle quotidiane esternazioni del Renzi. “Il Papa e l’aborto: sì al perdono per donne e medici”, titola Repubblica. “Aborto, il perdono del Papa”, Corriere. La scelta di Bergoglio risalta ancora di più se si pensa a quel che ha detto nelle stesse ore il patriarca di Mosca Kiril, il quale, ricorda Massimo Franco, ha paragonato i matrimoni omosessuali “quasi alle leggi naziste”. Beninteso per il Papa la vita resta “dono di dio” e per nessun (buon) motivo gli uomini possono interromperla, né quando si sta formando né quando si sta per spegnersi nel dolore. Tuttavia Francesco non vuol umiliare la donna, riducendola a semplice mezzo della riproduzione. Come quel vescovo brasiliano – citato da Vito Mancuso – che “scomunicò la madre e i medici che avevano fatto abortire una bambina di soli 9 anni, incinta a seguito delle violenze del patrigno e che rischiava la vita anche per il fatto che si sarebbe trattato di un parto gemellare”. Bergoglio spezza la sua lancia e usa la sua voce per una religione che vorrebbe essere trionfo di un nuovo umanesimo. Contro la tentazione, che si manifesta nei proclami di Le Pen in Francia, dei NeoCon in America, di Orban in Ungheria, di reagire alla confusione del mondo moderno solo con la liturgia ecclesiale, fatta obbedienza e sottomissione, di ossequio ma non di misericordia. Senza solidarietà con chi soffre né fiducia nell’uomo.
Visco: sì o no avanti con le riforme. Con una intervista alla Stampa, il governatore della Banca d’Italia manda in cantina le geremiadi del Financial Times e dei nostrani #bastaunsì, secondo cui la vittoria del No aprirebbe scenari catastrofici per la povera Italia. Visco analizza la novità Trump: una politica espansiva – mille miliardi in infrastrutture – sarebbe una buona cosa – scrive – ma farebbe lievitare il debito. Invece il ritorno dei dazi (in particolare contro la Cina) “potrebbe generare misure ritorsive”. Spiega come “le conseguenze economiche di un ritorno del protezionismo – maggiore incertezza, caduta degli investimenti, minore spinta all’innovazione, perdita di posti di lavoro, prezzi al consumo più alti – sarebbero profondamente negative per tutti”. E invita la politica a occuparsi di questo, senza attardarsi in crociate non più attuali. Così anche Draghi, mentre chiede “riforme strutturali” – mi chiedo se quelle di Renzi si possano considerare tali -, assicura che “l’Eurozona – grazie alla BCE – non si spaventa più per le scosse politiche” nazionali. Sia chiaro, credo che il “dio mercato” voti Sì, voglia Renzi, perché nessuno si è mostrato tanto zelante nell’attuare i suoi diktat. Ma questo dio pagano assorbe la Brexit, digerisce Trump, prende atto che è in crisi la narrazione mondialista. Ha ben altri problemi che legarsi al carro del nostro amato premier.
L’obiettivo della riforma non è tagliare le poltrone, dice Napolitano. Ah no? Ma non è quello che pretendono Renzi e i comitati #bastaunsì? “La sfida per il referendum è aberrante – prosegue – Renzi si giudicherà alle politiche”. Se fossi stato al posto di Lucia Annunziata, con il dovuto rispetto, gli avrei chiesto: “scusi, Presidente, ma non si è accorto che Renzi ha prima firmato egli stesso la riforma costituzionale legando le sorti del governo alla sua approvazione, poi l’ha imposta al parlamento con ripetuti atti di imperio, infine ha trasformato il referendum in un plebiscito su se stesso? Non è dunque perfettamente legittimo, e persino naturale, che il No tenga dentro di sé anche un giudizio politico su Renzi? Il manifesto si accontenta del disincanto che trasuda dal Sì che il presidente emerito ha annunciato: “Il freddo aiutino di Napolitano”. Gli altri giornali ne parlano in cronaca.
L’illusione della nuova destra. Le Monde analizza la novità Fillon. Amico di Putin, come Trump. Come Trump e come Theresa May, sostenitore estremista del liberismo economico: licenziamenti nel pubblico impiego e meno tasse per imprese e capitali. Si annuncia dunque una nuova “vague conservatrice” nel mondo, e in Francia, l’avvento di una “Droite Thatchérienne contro droite chiraquienne” (quella di Juppè). Sì, anche a me pare che la destra stia cercando di ritrovare l’anelito che ebbe al tempo di Reagan e della Tatcher e che voglia, invece, rinunciare ad “esportare la democrazia” (con le armi) come volevano George W. Bush (guerre in Afghanistan e in Iraq) e Hillary Clinton (sanzioni e minacce contro Mosca). A me però sembra un’illusione – ammesso che sia sincera – quella di poter piegare il bastone dei mercati dalla parte dell’interesse americano e atlantico rinunciando allo spauracchio di una guerra (persino atomica). La Cina è ormai fabbrica e banca del mondo. Già vuole approfittare della tentazione isolazionista di Trump per stabilire la sua primazia in Asia. Putin, come spiega Sergio Romano nel suo ultimo libro, è deciso a difendere gli interessi russi nelle aree limitrofe (e fra queste il Medio Oriente), come gli Zar e come Stalin. Credo che l’illusione, economista, della nuova destra ci regali tempo prezioso. Persino, forse, per ricostruire una sinistra non più vassalla (come Clinton, Blair, Renzi) a un’utopia ormai caduca: quella secondo cui mondializzazione finanziaria e diritti vadano di pari passo.