intervista a Harvey Cox (teologo statunitense, ministro della chiesa battista)
a cura di Serena Piovesan, sociologa
La controversa figura del presidente eletto Donald Trump produce divisioni anche all’interno del mondo protestante statunitense: anche nell’ala più di destra, non tutti lo hanno appoggiato.
Per quanto riguarda il profilo religioso, che tipo di cristiano è stato Barack Obama?
Obama è stato un serio praticante. Non lo ha “pubblicizzato” molto, ma si è formato in modo piuttosto evidente dalla tradizione della chiesa nera e quando è in quel contesto sembra a casa sua, in famiglia. Ha potuto vedere il vero Barack Obama lo scorso anno, dopo l’omicidio nella chiesa metodista nera in South Carolina, quando è andato lì per il servizio funebre. Andò in quella chiesa e, dopo aver parlato in modo molto eloquente, in uno stile simile a quello di un predicatore nero, improvvisamente cominciò a cantare. Ha visto quell’episodio?
No, non l’ho visto, ma ne ho letto…
Ha cominciato a cantare Amazing Grace in modo perfettamente naturale, come se gli venisse proprio dal cuore. Obama dice che la maggiore influenza intellettuale su di lui gli è venuta dal teologo protestante Reinhold Niebuhr (1892-1971), che ebbe anche molta influenza su di me, direi. A mio avviso, il suo maggior insegnamento è stato che dobbiamo vivere una vita cristiana nel mondo reale e dobbiamo avere a che fare con gli interessi, le responsabilità del potere e le distorsioni: non possiamo vivere nel mondo come vorremmo che fosse. Hanno definito Niebuhr un realista cristiano. Quindi bisogna fare delle scelte difficili. E Obama ha parlato di questo, tra l’altro, nel suo discorso di accettazione del premio Nobel per la pace: compiendo queste scelte difficili, sapendo che siamo tutti fallibili, non vediamo le cose in modo perfetto, non le vediamo dalla mente di Dio, ma abbiamo bisogno di andare avanti. Quindi, in questo senso, è un cristiano praticante e teologicamente molto ben informato. Si definisce cristiano – lo ha fatto molte volte – e io gli credo, credo proprio che lo sia.
La destra religiosa è ancora un attore politico rilevante negli Stati Uniti?
Non più come una volta. Penso che la destra religiosa sia in un momento di crisi. In gran parte generazionale: i giovani cristiani evangelici non accettano i temi che stanno a cuore ai più anziani della destra cristiana. Soprattutto su omosessuali, cambiamento climatico e altre cose. Sono cristiani evangelici, ma non accettano il punto di vista di un Jerry Falwell o di un Pat Robertson (il primo è stato un pastore di idee molto conservatrici, il secondo ha fondato la Christian coalition of America, sempre ispirandosi alle idee del fondamentalismo cristiano, ndr). Quindi c’è una spaccatura generazionale nell’ala conservatrice del protestantesimo americano, da cui proviene la destra religiosa. E per loro era un problema molto grave, perché non erano affatto sicuri su cosa fare con Donald Trump. Alcuni di loro lo hanno sostenuto, anche se è imbarazzante per persone che credono nei valori della famiglia… E altri, alla fine, hanno detto di no a Trump. L’organo di stampa principale della comunità evangelica conservatrice si chiama “Christianity Today” e ha pubblicato un editoriale contro Trump: è la prima volta che fa qualcosa di simile. Quindi, penso che si possa dire che si tratta di un movimento in grave crisi. Non ha i voti. Semplicemente, non può più tirarli fuori, non ha le idee chiare su ciò che intende fare. E per me questa è decisamente una buona notizia: lasciamo che siano confusi!
Come potrebbe definire l’attuale situazione religiosa negli Usa?
Gli Stati Uniti sono un paese molto grande, ed estremamente vario, per cui qualsiasi tipo di descrizione generale diventa difficile da fare. Credo che una delle cose più interessanti sia il numero crescente di persone che – come mostrano i sondaggi – non sono allineate a nessuna tradizione religiosa in particolare, ma che non sono neanche atei. Insistono proprio nello specificare «Io non sono ateo, solo che non aderisco ai battisti o ai cattolici o ai presbiteriani…». Quando gli si chiede quale sia la loro appartenenza, rispondono «nessuna». E scandiscono bene: «n-e-s-s-u-n-a» (none in inglese, ndr). Così sono chiamati “Nones”. Questo è uno sviluppo molto interessante: sono alla ricerca di qualcosa e credo che sia molto positivo il fatto che non siano soddisfatti del modo in cui la religione è attualmente “confezionata”.
È ancora possibile citare gli Stati Uniti come l’eccezione alla secolarizzazione in atto in Occidente?
Non credo che porci questa domanda abbia un senso, proprio per ciò che ho appena detto. Non credo cioè che il termine “secolarizzazione” abbia alcuna validità utile. Ciò a cui assistiamo oggi è qualcosa di molto più complesso: la secolarizzazione significava semplicemente un calo della capacità di influenza di una chiesa (nel suo numero di praticanti e così via), ma credo che non sia questo l’aspetto interessante. Ciò che interessa di più è ciò che il sociologo Carlo Nardella ha definito «la migrazione del sacro». E in effetti uso questo termine solo ora, nel mio discorso. La migrazione dei simboli: ci stiamo spostando dalle discussioni sulla secolarizzazione a quelle sulla migrazione, riapparizione e spostamento, che è un modo più preciso di pensarci.
Come hanno reagito le religioni all’elezione di Donald Trump? Cosa dobbiamo aspettarci da Trump riguardo alla connessione tra religioni, politica e pluralismo? E quali previsioni fa per il futuro, con questo nuovo presidente?
La reazione delle comunità religiose all’elezione di Trump è stata confusa, divergente e a volte amara. Gli evangelici protestanti conservatori sono stati divisi, come lo è la maggior parte del paese. Ricordiamoci che Hillary Clinton ha ottenuto più voti popolari, ma il sistema elettorale (basato sull’assegnazione dei grandi elettori stato per stato) ha dato la vittoria a Donald Trump. Credo che per Trump la religione non abbia alcuna attinenza con la politica. Sono profondamente preoccupato per il futuro degli Stati Uniti sotto Trump: si tratta di una persona imprevedibile, incoerente e instabile, con uno scarso controllo dei propri impulsi.