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Il Comandante insignito da Ben Ali e la “simbiosi” di Marisicilia con Augusta

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Il quotidiano La Sicilia, nella cronaca di Siracusa, questo ottobre dedica un paginone alla figura del contrammiraglio Nicola De Felice, dal 2015 alla guida di Marisicilia ad Augusta.
Com’era prevedibile, si tratta di un’intervista dal taglio decisamente encomiastico e dall’effetto brillantante per l’immagine del “personaggio” De Felice. Un misto di non-domande e patetismi, ma che, suo malgrado, offre lo spunto per utili approfondimenti.

comandante

Almeno due, infatti, sono i passaggi del percorso professionale di De Felice – nell’intervista solo parzialmente accennati in chiave celebrativa – che sarebbe stato opportuno analizzare nel dettaglio: il notevole background nella promozione di sistemi d’arma per conto dello Stato maggiore della marina; e la missione tunisina a sostegno della lotta all’immigrazione “irregolare”. E’ interessante, quindi, entrare nel merito di questi due incarichi; per poi passare al rapporto tra marina militare e società civile di Augusta, e in particolare a quel «legame simbiotico» enfatizzato nella seconda parte dell’intervista-tributo de La Sicilia all’alto ufficiale originario della Sabina.

A sostegno delle armi di Leonardo-Finmeccanica
Agli inizi della carriera militare dell’attuale comandante di Marisicilia, tra i primi incarichi degni di nota c’è una delicata spedizione Oltralpe, arrivata dopo due anni di impiego presso lo Stato maggiore in qualità di addetto ai programmi di sviluppo dell’ufficio Artiglieria e Missili. E’ il 1993 e l’allora capitano di corvetta De Felice è inviato a Parigi, dove rimane fino al ’96, «quale consulente operativo per il programma missilistico italo-francese FSAF – si precisa nel suo curriculum pubblicato sul sito web della marina militare – sostenendo la tecnologia italiana destinata alla portaerei Cavour, alle fregate italo-francesi Fremm e a quelle britanniche Type 45». FSAF (acronimo francese di famille de missiles sol-air futurs) è un programma di armamento avviato nel 1989 a cui l’Italia ha destinato – e destinerà ancora fino al 2020 – un investimento complessivo di 1.7 miliardi euro. Nello specifico si tratta di una famiglia di missili antiaerei e antimissile balistico tattico sviluppata da Eurosam, un consorzio di cui sono proprietarie Thales e MBDA. Una società quest’ultima che ha come capogruppo la compagnia Leonardo-Finmeccanica, ovvero «la tecnologia italiana» che De Felice fu evidentemente incaricato di patrocinare.
Conclusa la prima esperienza come consulente-promotore di armamenti, l’alto ufficiale di marina riprenderà questo genere di attività nei primi anni 2000, al rientro dalla missione in Kosovo, quando si farà «propugnatore di numerosi programmi di ammodernamento di sistemi di combattimento, di munizionamento di precisione quali il “Davide” ed il “Vulcano”, divenendo l’artefice di importanti accordi internazionali», sempre secondo quanto riportato sul portale della marina. Anche in questo caso, ad essere caldeggiate da De Felice sono due tecnologie belliche targate Leonardo-Finmeccanica: le famiglie di munizioni Vulcano e Davide/Dart, infatti, sono prodotte dall’azienda Oto Malera, controllata proprio dal colosso industriale italiano.

La caccia al migrante nella Tunisia di Ben Ali
Quattro anni più tardi, De Felice lascerà nuovamente l’Italia per un altro incarico di peso all’estero: la nomina come addetto militare presso l’ambasciata italiana di Tunisi. Qui, dal 2007 al 2010 è lui a sostenere, si legge ancora sul suo curriculum, «una politica di dissequestro sistematico dei pescherecci di Mazara del Vallo e di azzeramento del flusso migratorio irregolare dalla Tunisia». Ed è proprio a riconoscimento del lavoro svolto che il contrammiraglio riceverà l’onoreficenza di “ufficiale dell’ordine della Repubblica” direttamente dalle mani del dittatore Zine El-Abidine Ben Ali, fuggito in esilio qualche mese dopo a causa dell’insurrezione popolare. La missione di De Felice si inseriva, quindi, nel contesto della partnership tra Italia e Tunisia per il contrasto alla cosiddetta “immigrazione clandestina”, cioè alla libera circolazione di esseri umani in fuga dalle guerre e costretti, in mancanza di canali umanitari europei “regolari”, ad affidarsi alle tratte gestite dalle mafie euro-mediterranee. Nell’ambito di questa alleanza politico-militare, dal 1998 al 2011, i governi italiani – da Prodi-Napolitano a Berlusconi-Maroni-La Russa – hanno stipulato con la Tunisia una ventina di accordi bilaterali per ottenere, in cambio di ingenti aiuti economici, il blocco dei flussi di uomini donne e bambini verso la Sicilia. Un obbiettivo tenacemente perseguito attraverso il rafforzamento della cooperazione tra le rispettive forze armate, l’addestramento delle polizie tunisine per il pattugliamento delle coste, la cessione di armi e mezzi militari, il finanziamento di centri di detenzione per migranti in Tunisia, respingimenti, espulsioni e rimpatri collettivi.

Marisicilia e l’occupazione militare ad Augusta
Lasciato il continente africano, De Felice farà ritorno a Roma, presso gli uffici del 3° Reparto dello Stato maggiore della Difesa. E infine, cinque anni dopo, approderà al comando della base navale di Augusta. Da allora sono trascorsi quasi due anni, e per il comandante De Felice e i suoi uomini ogni occasione pubblica e mediatica è buona per intervenire e ricordare quanto di bello la marina militare starebbe facendo e rappresentando per la comunità civile. Questa prassi, tuttavia, non è stata certamente introdotta da De Felice, che si limita a dare continuità a una tradizione che ha radici lontane e suscita «il rispetto e la stima delle istituzioni locali e regionali, nonché delle associazioni, dei media e dei club service» come lo stesso comandante ha dichiarato all’intervistatore de La Sicilia. Da decenni, difatti, non c’è un solo angolo della vita politica e sociale megarese nel quale Marisicilia non faccia la sua “benevola” apparizione. Dalla collaborazione con le amministrazioni comunali agli stretti rapporti con l’associazionismo locale. Dalle conferenze con le lobby industriali, da ultimo sull’affare del gas liquido alle manifestazioni sportive ospitate nei lidi militari di Punta Izzo. Per non parlare, poi, della costante presenza dei militari negli istituti scolastici, su cui occorrerebbe un approfondimento a parte, tra seminari di “orientamento” per “diventare professionisti del mare”, concorsi a premi, progetti di alternanza scuola-lavoro e visite alla base di Terravecchia. Al liceo Megara e alla scuola media Principe di Napoli, inoltre, da qualche anno Marisicilia concede anche l’utilizzo della palestra militare “Stampanone”. Per i dirigenti scolastici è la soluzione scelta per sopperire alla cronica carenza di apposite strutture sportive. Così, per poter svolgere l’ora di educazione fisica, gli studenti devono recarsi all’interno della base militare – «forniti della carta d’identità» -, come riferisce un’apposita circolare diramata ai docenti dalla preside del liceo Megara.
Quello appena descritto è solo uno spaccato del variegato attivismo militare ad Augusta e dintorni, avente come effetto il mantenimento di una presa ideologica e culturale sulla popolazione – sotto il mantra marina-militare-orgoglio-e-vanto-degli-augustani – che perpetua la mistificazione di una realtà vincolata a un’occupazione militare sempre più difficile da giustificare, anche alla luce dei presunti vantaggi economici, considerato il progressivo smantellamento dell’arsenale marittimo e i drastici tagli alla spesa per il personale civile impiegato all’interno della stazione navale. Una militarizzazione che, in definitiva, non fa altro che ridurre e viziare gli spazi di agibilità democratica, negando alla comunità il diritto di autodeterminare l’utilizzo di buona parte del suo territorio e di fruire liberamente di quei luoghi che le sono stati strappati.

Da isiciliani


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