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Giovanni Leone: il presidente controverso

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Giurista insigne e senz’altro tra i migliori esponenti della fertile scuola giuridica napoletana, Giovanni Leone è stato soprattutto un politico di primo piano: presidente della Camera, due volte presidente del Consiglio e, in particolare, presidente della Repubblica nel difficilissimo settennio dal ’71 al ’78.
Principe del foro e figura controversa contro cui si scatenarono accuse infamanti e campagne di stampa rivelatesi poi infondate, grava sul suo curriculum il peso, non di poco conto, di essere stato eletto al Quirinale con i voti decisivi del MSI, ponendo momentaneamente fine alla positiva esperienza del centrosinistra e provocando, in seguito alle dimissioni dei ministri repubblicani, la conclusione del governo Colombo e della legislatura stessa, in quanto Andreotti fallì nel tentativo di formare un nuovo esecutivo monocolore DC.

Costretto a gestire una delle fasi più drammatiche della nostra vicenda repubblicana, con l’avvento del terrorismo rosso e nero, la Strategia della tensione al culmine della sua barbarie, i movimenti giovanili e studenteschi sull’orlo del delirio e la tragedia del delitto Moro come triste suggello di una presidenza difficile e costellata dagli attacchi, compresa l’insinuazione di essere lui l’Antelope Cobbler dello scandalo Lockheed (l’acquisto da parte del governo italiano di aerei militari americani, con annesso pagamento di tangenti), Leone visse quegli anni costantemente sull’orlo del precipizio, trovandosi a dover sciogliere per ben due volte le Camere prima della scadenza naturale della legislatura e a dover gestire i malumori di un Paese in preda a una crisi di nervi senza precedenti.
Riuscì a mantenere, questo gli va riconosciuto, un contegno istituzionale encomiabile, tenendo ben saldo nelle mani il timone dello Stato e affrontando con spirito stoico una serie di strazianti vicende personali che lo segnarono nel profondo, nel contesto di un’Italia con la disoccupazione al galoppo, un’inflazione mostruosa e una condizione di precarietà che rischiò in più di un’occasione di metterne a repentaglio la stessa tenuta democratica.

La sua vicenda può considerarsi, dunque, emblematica di quanto determinati ruoli di potere ti colpiscano e ti cambino nel profondo e di quanto la personalità di ciascuno di noi sia costantemente costretta a fare i conti con la complessità del reale e con un ambito complessivo che oggi è assai più vasto e complicato di allora, al punto che il timore di smarrirsi o di non essere all’altezza del proprio compito dovrebbe costituire la prima e costante preoccupazione di qualunque esponente politico.
Solo molti anni dopo, Marco Pannella ed Emma Bonino, in occasione del suo novantesimo compleanno, gli chiesero scusa per le accuse rivoltegli a suo tempo, avviando di fatto un processo di riconciliazione e di riabilitazione istituzionale che consentì di inquadrare la figura di Leone nella cornice storica di quegli anni, fornendo un’analisi più completa e veritiera della sua personalità e del suo operato.
Rimangono, comunque, le luci e le ombre di un personaggio rigoroso, di un giurista tenace e di un politico dotato di un altissimo senso dello Stato, trovatosi a dover fare i conti con le conseguenze di una burrasca cui pochi avrebbero saputo fare fronte con altrettanta fermezza e in grado di non causare ulteriori sbandamenti a una nave ormai alla deriva com’era l’Italia di quegli anni: una nazione in cui in determinati momenti si temette davvero il peggio, essendosi progressivamente corrosi quei valori resistenziali e quegli equilibri democratici e costituzionali che avevano innervato il primo trentennio della storia repubblicana.
Un Presidente sulla soglia, il povero Leone, a metà strada fra il non più e il non ancora, fra le certezze del passato che iniziavano a venire meno e le prospettive per il futuro che faticavano a palesarsi e che, come è ormai chiaro adesso, non sono mai davvero sbocciate, tanto che questo nostro sfortunato Paese si dimena da oltre quarant’anni fra governi più o meno inadeguati e un crollo verticale, e apparentemente inarrestabile, dei consensi e della fiducia dei cittadini nei confronti della politica e dei partiti, con conseguenze imponderabili ora che, oltre all’esperienza resistenziale, si è persa di vista anche l’importanza della cultura, della preparazione e della competenza delle classi dirigenti.
Leone pagò un prezzo altissimo a questo suo essere un uomo di Stato sul crinale dell’anti-Stato, sfociato poi, per reazione, nel riflusso degli anni Ottanta e nell’anti-politica basata su non-partiti che ha caratterizzato la nostra vicenda nazionale dall’avvento di Berlusconi in poi.

Un uomo di passaggio, provvisorio, un discreto gestore dell’esistente cui non si poteva chiedere anche di immaginare un domani che nessuno aveva in testa e i cui contorni incerti faticano tuttora a palesarsi.
Visse la sua esperienza al Quirinale come un reduce in attesa della fine, per poi dedicarsi a una serena vecchiaia che lo ha visto uscire di scena con tutti gli onori, in quanto persino i più acerrimi rivali dell’epoca, alla fine, sono stati costretti a rivalutarlo e a rendergli l’onore delle armi.
Giovanni Leone: un combattente vinto dagli eventi, un uomo disarmato e messo in ginocchio da dinamiche più grandi di lui e di chiunque altro e, infine, un protagonista sconfitto che seppe accettare la propria sorte con rara dignità, con il garbo e il buongusto di quei gentiluomini napoletani di cui oggi si è perso il seme e si avverte, più che mai, la mancanza,


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