Essere liberi significa avere la possibilità di scegliere

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Il doposcuola del GAPA diventa “Scuola e libertà”
“Entra, il Gapa è bello! Ti diverti con noi se entri!” Samuele incita un bambino un po’ timido a lanciarsi nella nuova avventura che è iniziata quest’anno in via Cordai. Ventotto anni di attività e di doposcuola al Gapa non hanno fatto da cuscino morbido su cui adagiarsi, ma da motore per interrogarsi sui bisogni dei bambini, senza mai stancarsi.

Certo, poi è normale continuare a porsi domande. Quanto conta il metodo educativo se poi fuori le scuole vengono chiuse, di assistenti sociali ce ne sono troppo pochi e il Tribunale per i minori viene accorpato a quello ordinario per risparmiare? Quanto conta educare alla libertà se poi, fuori, chi amministra continua a non garantire le condizioni per poter essere liberi davvero? Quanto conta tutto questo in una città come Catania dove i principali imprenditori come Ciancio continuano ad avere a che fare con amministratori e mafiosi decidendo a tavolino di quale morte farci morire, perché tanto a morirne – o a scappare – non saranno loro, ma noi, i nostri bambini, i nostri ragazzi? Le risposte a queste domande, al GAPA, continuiamo a cercarle e a trovarle nei bambini. Non abbiamo soluzioni in tasca ma la nostra antimafia sociale – quella che non si trova scritta sui libri e neanche nei salotti della città, quella dove ci si sporca le mani e ci si mette la faccia – è l’unico modo autentico che abbiamo per contrapporci al potere mafioso e all’antimafia istituzionale di chi continua a parlare di legalità solo per fare punti, come se le vite delle persone fossero un gioco. Giulia è un’educatrice, ma anche una delle promotrici del progetto “Scuola e libertà” che sostituisce, in parte, il classico doposcuola frontale dove si aiuta il bambino a fare i compiti per casa. Ci parla del nuovo esperimento educativo che si è deciso di portare avanti.

Giulia come mai avete deciso di non fare più il classico doposcuola tradizionale al Gapa?
Diciamo che negli ultimi anni, il nostro impegno si è limitato a offrire ai bambini un aiuto mirato al supporto scolastico. Ad un certo punto però ci siamo resi conto che questo discorso era riduttivo e abbiamo sentito l’esigenza di mettere in discussione gli schemi e i metodi dell’educazione tradizionale. Per intenderci: il nostro centro è frequentato anche da bambini e bambine, ragazzi e ragazze che hanno delle difficoltà scolastiche molto gravi e da altri che, come per la maggior parte dei giovani che frequentano la scuola statale (fatto eccezioni per quei fortunati che incontrano straordinari insegnanti), studiare costa fatica e la disaffezione allo studio è molto alta – in particolare, nel nostro quartiere il tasso di dispersione e abbandono scolastico è altissimo sin dai primi anni di scuola. Ci siamo chiesti perché e ci siamo concentrati non tanto sulle problematiche socio-culturali-familiari che hanno gli allievi, quanto sui problemi dell’educazione che noi adulti imponiamo loro. In parole povere, se studiare costa fatica e il bambino si rifiuta di farlo, la nostra attenzione non vuole concentrarsi sulle sue motivazioni e sulle sue problematiche quanto sulle problematiche che presenta il metodo con cui stiamo insegnando, metodo che magari non è adatto a lui. Questo è il campo in cui possiamo agire. Noi crediamo che apprendere, conoscere, scoprire non dovrebbe costare fatica ma dovrebbe essere un piacere. Il gioco ad esempio, che comunemente viene contrapposto alle attività utili e che viene visto spesso come cornice di svago, ha in sé componenti educative importanti, soprattutto se lo si intende come gioco in quanto gioco e non come strumento per raggiungere determinati obiettivi. L’essere umano d’altronde è fatto così: apprende facilmente quello che gli piace e quello che fa, ma difficilmente apprende quello che non fa o che non lo interessa… Continua su isiciliani


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