Elezioni Usa, i primi cinque passi verso i 56 milioni di cittadini disabili

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Associazioni si sono mobilitate e nuove campagne sono nate per portare la disabilità nel dibattito elettorale. Il giornalista disabile David Perry sintetizza le principali criticità della “più numerosa minoranza” americana: accesso ai benefici, trappola della povertà, violenza e partecipazione politica

ROMA – Sono circa 56 milioni i cittadini americani con disabilità: la minoranza più numerosa negli Stati Uniti d’America. Non sappiamo quanti si siano effettivamente presentati alle urne, ma tanti sforzi sono stati compiuti, da associazioni e organizzazioni, per stimolare una partecipazione e una consapevolezza diffusa in questa importante fetta della popolazione. E’ ultimamente nata anche una campagna, “Cripthevote”, per portare la disabilità nella campagna elettorale americana e fare in modo che i cittadini disabili partecipassero numerosi al voto. Ma quali sono i temi, le questioni, i nodi critici e le aspettative di disabili e caregiver americani? Una recente analisi di David M. Perry, scrittore e giornalista disabile, pubblicata su Pacific Standard, ricorda i punti principali.

Il primo punto è rinnovare il programma di benefici e provvidenze: “Molte persone con disabilità – scrive Perry – dipendono dai governi federali e statale per il soddisfacimento dei propri bisogni primari. Per molti di questi elettori – più di 9 milioni – la “Social Security Disability Insurance” e il “Supplemental Security Income” offrono molto, se non tutto il loro reddito, mentre “Medicare” e “Medicaid” coprono l’assistenza sanitaria e sostegno a lungo termine. Ma la popolazione sta invecchiando – osserva Perry – e i programmi SSDI stanno esaurendo le risorse di quest’anno. Nel 2015, la spesa SSDI superato i 146.000.000.000 dollari”. La soluzione però non consiste solo nell’incrementare le risorse, ma anche nell’aumentare la flessibilità nell’accesso a questi benefici.

Il secondo punto riguarda la “trappola della povertà”: chi può contare solo sui benefici statali, è infatti condannato all’indigenza. “Per non essere poveri, è necessario un lavoro – osserva Perry – ma se si ottiene un posto di lavoro, si potrebbero perdere i benefici, senza guadagnare abbastanza per mantenersi”. Questa, quindi, la trappola da cui occorre uscire: le persone con disabilità devono lavorare, laddove naturalmente questo sia possibile: ma negli Stati Uniti – riferisce ancora Perry – l’obiettivo è ancora lontano: “Il tasso di disoccupazione per i lavoratori disabili nel 2015 è stato del 10,7 per cento, più del doppio del tasso di disoccupazione complessivo”.

Il terzo punto riguarda l’istituzionalizzazione. “In mancanza di mezzi finanziari, troppe persone con disabilità oscillano tra istituzionalizzazione e senza fissa dimora, intrappolati in rifugi, ospedali, carceri, o per le strade”, riferisce Perry. Pur riconoscendo il ruolo fondamentale svolto dagli istituti nel tamponare le situazioni di emergenza, il giornalista osserva che questi “portano via risorse che potrebbero andare nella direzione di comunità integrate, capaci di offrire migliori risultati a lungo termine”.

Contrastare la violenza. Almeno un terzo delle persone uccise dalle forze dell’ordine sono disabili. E per quanto riguarda il sistema di giustizia penale, dal 30 al 40 per cento di tutti i carcerati hanno almeno una disabilità. E, per finire, circa 70 mila studenti con disabilità subiscono atti di “contenzione fisica” a scuola ogni anno, dei quali circa 4 mila in manette e catene, mentre gli altri vengono trattenuti a terra. Bastano questi dati, riferiti da Perry, a tratteggiare i contorni di una “emergenza violenza” per gli americani con disabilità.

L’ultimo tema riguarda l’accesso al voto, indispensabile perché le questioni di cui sopra entrino effettivamente nell’agenda politica. CI sono però due problemi, individuati da Perry: primo, l’inaccessibilità di molti seggi; secondo, “le persone con disabilità storicamente non sono identificate come un blocco elettorale con influenza politica”: di qui la scarsa motivazione di tanti ad esercitare il proprio diritto. Per Perry, la tecnologia può essere un antidoto risolutivo per entrambe le problematiche: da un lato hanno la capacità di semplificare l’accesso al voto, dall’altra possono favorire la circolazione delle informazioni e il coinvolgimento delle persone con disabilità. (cl)

Da redattoresociale


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