I dubbi europei sull’Italia, Corriere. “Manovra, buco da 5 miliardi”, Stampa. La Ue: flessibilità per l’Italia”, Repubblica. Chi ha ragione? Tutti. Giannelli disegna Renzi e Juncker impegnati in un braccio di ferro: “Ma quando la pianti?”, chiede il Presidente della Commissione. “Dopo il 4 dicembre” risponde il primo ministro. La Commissione ha criticato la Germania perché non reinveste il suo enorme surplus finanziario, ha concesso “flessibilità” all’Italia per via del terremoto e dell’accoglienza degli immigrati, ma ha sostenuto che stiamo “sforando” l’obiettivo del pareggio di bilancio, appunto per 5 miliardi. La procedura di infrazione arriverà ma solo dopo il referendum del 4 dicembre. Per non disturbare. Per il Corriere Federico Fubini spiega bene perché siano fondate le preoccupazioni di Bruxelles. “Negli ultimi cinque anni non si vede quasi alcun progresso nella capacità delle imprese di competere sui mercati esteri..in questi cinque anni l’Italia ha perso un decimo delle sue quote dell’export mondiale, di cui quasi metà all’interno dell’Europa stessa…. l’Italia non sta risanando; al contrario, ha usato i risparmi negli interessi sul debito, permessi in questi anni dalla Banca centrale europea, per finanziare spese che non aumentano un potenziale di crescita del Paese già molto basso. Se il Paese dovesse tornare in recessione o se il costo del debito dovesse tornare a salire, gli equilibri di finanza pubblica sono destinati a non tenere”.
I sondaggi non gli vogliono più bene. È la Stampa a segnalarlo. “Le pensioni e le quattordicesime a più di due milioni di pensionati? L’effetto sui sondaggi non è stato apprezzabile. La riduzione del canone Rai per milioni di italiani? I bonus? Lo spostamento del dibattito referendario dal plebiscito al merito? Gli effetti, se ci sono stati, non risultano quantificabili…il No rimane in vantaggio tra i 4 e gli 8 punti…La causa è una “overdose” da ottimismo esasperato? O una diffusa corrente di «antipatia» verso Renzi, come ipotizzato da un amico come Oscar Farinetti?” Ah, saperlo! Intanto persino Roberto D’Alimonte, fanatico sostenitore delle riforme renziane, che ha trasformato la Luiss in una succursale del comitato per il Sì con Maria Elena Boschi a indottrinare gli studenti, deve ammettere oggi che l’ultimo sondaggio realizzato il 7 novembre, dal suo giornale, il Sole24Ore, vede il No al 34%, il Sì al 29% e gli indecisi al 37. Il professore, tuttavia, si consola perché della stesso sondaggio risulta le intenzioni della riforma (fiducia solo alla Camera, riduzione dei parlamentari, tempi certi di approvazione per certe leggi) sarebbero condivise dagli stessi elettori che bocciano la legge. Perché è scritta coi piedi, dico io, perché le “buone” intenzioni erano strumentali e celavano la volontà di depotenziare la Costituzione per imporre, con legge ordinaria, l’elezione diretta di un Premier-Sindaco d’Italia. Non c’è che fare, il 4 si vota anche su Renzi.
Costituenti e pasticcioni. Non solo non si capisce come saranno eletti i nuovi senatori: se i consigli regionali saranno liberi di scegliergli, come sostiene un articolo della legge o se invece li sceglieranno i cittadini, come sostiene il convertito Vannino Chiti. Non solo con la riforma il Presidente della Repubblica perde il potere di sciogliere una delle due camere, che si rinnoverà a pezzi via via che si rinnovano i consigli regionali, ma pare proprio che ben 5 regioni, quelle a statuto speciale, non potranno designare i senatori. Perché i loro statuti prevedono l’incompatibilità della carica di consigliere con quella di parlamentare. Il guaio diventa abnorme perché la maggioranza ha ficcato nella riforma un emendamento che rende perenni gli statuti autonomi: potranno essere cambiati solo con riforma costituzionale e con l’esplicito consenso di ciascuna regione a statuto speciale. Che pasticcio! “La riforma col buco”, titola il Fatto Quotidiano. “Se vince il Sì avremo 5 regioni senza senatori”.
Disastro socialista o crisi della V Repubblica. François Hollande ha toccato un record: popolarità al 14%, mai così bassa per un Presidente in carica. Se tanto mi dà tanto, le primarie socialiste le potrebbe vincere Montebourg, ex ministro dell’economia, ma dovrà vedersela con altri 5 candidati. Poi c’è Mélenchon che si presenta a sinistra del PS, quotato anche lui intorno al 14%, ma che non avrà l’appoggio dei comunisti, i quali hanno deciso di presentare un loro candidato. A meno di un miracolo, la sinistra francese non passerà il primo turno, sarà esclusa dal ballottaggio. Tanto più che ieri ha annunciato la sua candidatura anche il Matteo Renzi di Francia. Si chiama Emmanuel Macron, ministro dell’economia di Hollande, si vuole rottamatore dei socialisti e dei sindacati in nome del mercato. Domenica primarie tra i Repubblicani: Sarkozy in lizza con un programma di destra dura, simile a quello del Fronte National. Lo contrastano Juppé, primo ministro di Chirac nel 95, moderato che vorrebbe pacificare la Francia e pure Fillon, ex ministro dell’economia di Sarkozy. Marine Le Pen, sulla scia di Trump, sogna l’Eliseo.
Obama il greco. Davvero commovente e impeccabile il discorso sulla democrazia che ha fatto ad Atene. Ma “Obama – ricorda Roberto Toscano per Repubblica – è stato sconfitto da chi può essere definito non solo come “anti-Obama”, ma antidemocratico e illiberale. Qualcuno che rispetta soltanto il potere, addirittura rivendica lo spregio delle regole e dei limiti etici, qualcuno che esalta non la conoscenza ma l’ignoranza («amo quelli che sono poco istruiti» – ha detto -)..La sconfitta di Obama è la sconfitta di un intero progetto di democrazia liberale e capitalismo sociale..E vi è ora da temere che Trump riesca a lanciare, dal potente pulpito della Casa Bianca, un messaggio reazionario e non semplicemente conservatore che rafforzerà ulteriormente e renderà difficilmente reversibile la spinta antidemocratica già evidente: da Putin a Erdogan, da Modi ai movimenti xenofobi in Europa”. Allegria!