A chiunque di noi, se il destino ci fosse improvvisamente avverso, potrebbe capitare di trovarci senza lavoro, senza mezzi di sussistenza, senza un tetto sulla testa. E’ la condizione in cui si trovano, in Italia, migliaia di famiglie che non hanno alcuna proprietà, alcun reddito sicuro. Una miriade di associazioni – molte delle quali parassite – lucrano su quest’umanità disperata, esclusa e perseguitata dalle istituzioni. Sono le voci che chiedono il “superamento” degli insediamenti di emergenza, per gestire progetti quasi sempre inutili e inefficaci, se non per le loro tasche senza fondo.
Questi succhiasangue ingrassano e prolificano grazie a un diritto fondamentale che ci hanno rubato, spesso con il consenso delle maggioranze, che hanno dato il loro benestare a un enorme abuso in nome della “sicurezza”: lo spauracchio che politica e media ci pongono continuamente davanti agli occhi per ottenere facili consensi. Ma riflettiamo! E se toccasse a noi? Ai nostri cari? Ai nostri figli? Da parte mia, se rimanessi senza lavoro e senza casa, preferirei ricominciare costruendo una baracchina su un pezzo di terra libera piuttosto che mettermi nelle mani di un’associazione o supplicare le istituzioni di “aiutarmi”. Senza inginocchiarmi davanti a nessuno, beneficerei di eventuali contributi previsti dalla legge. Poi, penserei da solo a migliorare la mia vita, prima con un’attività temporanea – magari l’arte di strada -, poi con un nuovo lavoro e, quando possibile, una casa in affitto. I diritti umani ci consentono di non farci uccidere da un momento difficile. Il diritto alla sopravvivenza sulla terra libera, però, ci è negato. Quale che sia la nostra etnia o il gruppo sociale da cui proveniamo, se costruiamo una baracca su un lembo di terra, in capo a pochi giorni arrivano le forze dell’ordine e ci cacciano, dopo averci denunciato per occupazione abusiva di suolo pubblico. Quindi la nostra abitazione provvisoria viene distrutta dalle ruspe. Ecco: ci trasformano in un istante da brave persone in difficoltà in criminali, invasori, reietti. E ci impediscono di superare il frangente difficile. Già, se mi cacciano dalla baracchina, allora devo spostarmi; i miei figli non possono restare nella scuola vicina; mi diventa impossibile cercare un lavoro e non ho una residenza dove essere rintracciato, una residenza che mi garantirebbe alcuni diritti basilari. Inoltre perdo i legami positivi creati nella zona. Mi annientano, con la mia famiglia e la mia comunità. Senza bisogno di campi di concentramento e altri orrori manifesti. Con l’invisibile, inodore gas dell’intolleranza.
P.S. Grazie a Maria Sophia, che mi ha ispirato questa riflessione, che rappresenta nei particolari la condizione di chi è povero ed escluso.
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