Un libro è qualcosa che resta, lo si può sfogliare e accarezzare, riprendere fra le mani anche quando è stato dimenticato in un ripiano della libreria. Un libro può essere consolatorio e rendere in letteratura il mondo dell’esperienza, può essere una successione di parole dal valore etico. “Je suis Paris” è un’opera di 223 pagine, ma soprattutto è un collage di dolore e speranza, composto da un migliaio di tasselli: riproduzioni di messaggi, disegni, testimonianze, ricordi, poesie, in memoria delle 130 vittime della mattanza jihadista del 13 novembre 2015 a Parigi, che lo scrittore e saggista Edouard Boulon-Cluzel ha selezionato fra i 7.709 documenti appesi lungo i giardini vicino al Bataclan e nelle strade adiacenti.
Un materiale immenso e variegato, adornato da fiori, candele e pelouche, che per qualche settimana avevano marcato l’itinerario macabro della strage e segnato di commozione il paesaggio cittadino. Tutti questi reperti sono stati salvati dalle intemperie e catalogati dagli Archivi di Parigi, con l’intenzione di farne una sorta di Memoriale vivente della storia attuale della capitale. “E’ la prima volta che ci siamo ritrovati a lavorare in equipe su documenti a noi contemporanei direttamente sul terreno, per strada”, spiega Emile Legrand, restauratrice. Un lavoro capillare durato oltre otto mesi che sarà messo poi in rete, per permettere a chiunque di ricordare quei momenti, condividere il lutto, riflettere sui perché.
“Per la scelta”, spiega Boulon-Cluzel, “mi sono affidato solo alla mia sensibilità: è stata una decisione soggettiva. Le persone in quei giorni hanno espresso le loro sensazioni con ogni mezzo e in ogni maniera, perché sentivano la necessità di farlo. Non pensavano certo in quei momenti terribili che sarebbero stati pubblicati. E’ un lungo filare di parole e vissuti legati tra loro da un profondo senso di fraternità. Un modo d’imprimere per sempre quell’unione di sentimenti, per non dimenticare”. Un libro collettivo di autori anonimi (edito da Michel Lafon ,costo 15 Euro, il cui ricavato andrà alle associazioni delle vittime), per continuare a sperare, per non rinunciare a “pensare e ripensare: perché io sono me stesso in quanto mi specchio negli altri”: così è scritto in corsivo a lettere tondeggianti sul foglio che era appeso davanti al Caffè “A la Bonne Biére”, uno dei luoghi della furia assassina, in quel perimetro della morte, che iniziò dallo Stadio di Francia e proseguì fino al 10° e 11° arrondissement, fra i tavolini de “Le Carillon”, “Le Petit Cambodge”, “Le Comptoir Voltaire”, “La Belle Equipe”, la pizzeria “Casa Nostra” e la sala per concerti Bataclan, tra Boulevard Voltaire e Boulevard Richard Lenoir.
Il Bataclan ha una storia grandiosa alle spalle. Inaugurato nel 1865, s’ispirò nel nome e nella struttura architettonica “all’operetta” di Jacques Offenbach “Ba-ta-clan”. Stando alle cronache dell’epoca era “un’immensa pagoda in stile cinese, trasportata non si sa come nel bel mezzo del Boulevard. Sul palcoscenico due grandi cascate, blu e gialla, fra rocce di cartapesta ricordano i paesaggi del Celeste Impero. Il Ba-ta-clan non sarà solo un teatro, ma il più incantevole e fatato caffè chantant della Nuova Parigi”.
Sabato 12 novembre, alle 21 le luci del palcoscenico si sono accese di nuovo per il concerto di Sting. La vita con le sue sofferenze ha così sconfitto simbolicamente la morte. Dopo un minuto di silenzio le note di “Fragile” sono risuonate nella sala stracolma di gente; molti erano i sopravvissuti in platea insieme ai parenti delle vittime. “La pioggia di domani laverà le macchie, ma resterà sempre qualche traccia nelle nostre anime”, recitano i versi, scritti dal musicista dopo gli attentati dell’11 Settembre del 2001 a New York. Le ferite di chi si è salvato negli attacchi di Parigi non sono e non saranno mai rimarginate, né quelle del corpo di chi è rimasto menomato per sempre né quelle psicologiche, che hanno cambiato ormai gli orizzonti e la quotidianità.
Il 25 novembre sarà Marianne Faithfull a salire sul palco, dove un anno fa i morti e i vivi si intrecciavano in una disperazione senza fine. “La sola cosa che potevo fare era scrivere una canzone. Per onorare le vittime canterò per la prima volta “They Come at Night”. La musica a volte può medicare le piaghe”.
Le testimonianze dei medici entrati insieme alle forze speciali nel momento dell’irruzione, per portare i primi soccorsi, non hanno mai smesso, durante questi 12 mesi, di raccontare l’orrore visto: “La cosa più dura fu dover comprendere in un istante chi poteva essere salvato e chi no. Decidere in una frazione di secondo, congelando il cuore, usando solo la razionalità e la tecnica del mestiere. La difficoltà enorme fu il trasportare a braccia i feriti, per lo più gravissimi, attenti a non inciampare nei corpi, ma soprattutto a non scivolare sulla densa patina di sangue che ricopriva tutto il pavimento. A volte i cadaveri che erano d’ostacolo venivano scansati con i piedi. E’ triste doverlo ammettere, ma bisognava fare così per fare in fretta e portare fuori più gente possibile”.
Domenica 13 è stata la giornata della commemorazione, con la messa solenne a Notre Dame, le affissioni delle targhe sui muri con i nomi delle persone uccise, le candele accese sui davanzali per illuminare la notte con fiammelle di luce, per disperdere la barbarie del buio della Ragione. Adesso Parigi ha ripreso il suo ritmo abituale di metropoli piena di vitalità, capace di trasmettere sempre un senso comune di pienezza e di libertà, di continuità fra i monumenti e le vetrine dei negozi, con i giardini ordinati e fioriti, accoglienti in ogni stagione a far da collante. Le paure restano fuori dalle “terrazze” dei caffè e delle brasserie, sempre affollati. La città è e resterà per sempre un “teatro di strada”, un catalogo di sogni alla portata di chi desideri sfogliarlo. Ma l’innocenza sembra persa per sempre. I timori si accompagnano al fatalismo, a tratti offuscano quegli ideali cartesiani che lì pare abbiamo modellato anche gli spazi urbani.
Ci si abitua ai controlli meticolosi, entrando nei grandi magazzini e nei musei, ma ci si muove diffidenti nei sotterranei della metro. Prima era un luogo di mescolanza sociale, uno scambio silenzioso di sguardi, di promiscuità e di immaginazioni, dove mischiarsi fra la folla era un modo come un altro per scovare i segni misteriosi del fluttuare dell’esistenza; ora è solo un mezzo rapido di trasporto, indispensabile per attraversare la città con l’incertezza però di essere condotti anche nel tunnel indefinito del Destino. I terroristi islamici sono riusciti nel loro intento di spargere insicurezza nei luoghi simbolo del nostro vivere occidentale, di crearci spaesamento esistenziale.
Georges Salines è il Presidente dell’Associazione “13/11/15: Fraternità e Verità”, è il padre di Lola, la ragazza di 28 anni trapassata da due pallottole di kalashnikov al Bataclan, ed è anche l’autore del libro “L’indicibile dalla A alla Z”. La testimonianza di un padre per una figlia perduta e di un uomo impegnato a capire il mondo che ci sfugge di mano. Un diario intimo e un testo esplicativo delle ragioni dell’associazione: “combattere per i diritti delle vittime, per l’affermazione della verità e contribuire all’ approfondimento del fenomeno jihadista”.
La “A” sta per Assurdità: “mia figlia è morta in nome del nulla, per una follia. Un mese o un anno per me sono la stessa cosa”, spiega Salines, “il lutto dipinge l’esistenza con il colore della tristezza. Lola è un rimpianto eterno”.
La “V” sta per Vita: “una vita troppo breve una vita bella di una bella persona piena di passioni: i libri, il cinema, la musica, gli amici, i genitori, i fratelli, lo sport, il suo gatto”.
Secondo Salines: “Tutto il sistema di prevenzione e allarme antiterrorismo non ha pienamente funzionato al Bataclan. Le forze speciali hanno atteso per troppo tempo l’ordine di intervenire. A Nizza, poi, ancora peggio. Bisognerebbe creare un sistema di controllo e allerta non generalizzato, ma circoscritto per tutti quegli spazi pubblici a rischio attentati. Le posizioni oltranziste che si rifanno ad un laicismo radicale sono controproducenti, perché colpevolizzano l’Islam nella sua interezza, invece di concentrarsi a combattere contro alcune migliaia di fondamentalisti. Non credo ad uno stato di emergenza, ad una situazione di guerra, né che l’ISIS ci possa governare un giorno. Eliminare fisicamente i terroristi, una volta sconfitto il Califfato, è contrario al nostro concetto di umanità. E’ una visione naif: non conosco esempi in cui una politica di sterminio degli avversari abbia avuto successo. Più si stermina, più si suscitano nuove vocazioni, perché la repressione crea altre emulazioni”.
E che ci siano state colpevoli falle all’interno degli apparati dell’Intelligence in Francia, si capì già subito dopo l’attacco al giornale satirico Charlie Hebdo, nel gennaio del 2015. Ora anche le istituzioni ne prendono atto, alla chiusura dei lavori della Commissione parlamentare d’indagine sugli attentati. Secondo Georges Fenech, deputato dei Repubblicani, presidente della Commissione, infatti: “Ci sono state delle falle nei nostri servizi d’Intelligence. I tre assalitori del Bataclan erano tutti arcinoti, così come i fratelli Kouachi (gli autori della strage a Charlie Hebdo). Il nostro ruolo non è quello di indicare i colpevoli, ma di constatare con obiettività che bisogna assolutamente rivedere il tutto. Siamo ancora agli schemi del 1980, ad un’epoca in cui il terrorismo non era come quello di adesso. C’è necessità di fare un salto di qualità, per razionalizzare i nostri servizi segreti e coordinarli veramente a livello europeo”.