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Ancora giornalisti e avvocati nel mirino di Erdogan. Ricorso a Corte Suprema contro arresti deputati Hdp

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Da parlamentari a detenuti in regime di isolamento, Selahattin Demirtas e gli altri nove esponenti del partito filo-curdo Hdp hanno visto ignorare ogni loro basilare diritto.
Da quando sono stati arrestati il 4 novembre con l’accusa di terrorismo per presunti legami con il Pkk non hanno mai potuto vedere i propri familiari.
I difensori hanno presentato un ricorso alla Corte costituzionale turca contro il loro arresto, dopo che erano state respinte le istanze già presentate ai tribunali locali.
Ma intanto, come tutti coloro che hanno cercato di aiutarli, continuano a essere trattati da criminali.
Tra questi l’avvocato Levent Piskin, fermato martedì scorso a Istanbul. Piskin, legale che si batte per il rispetto dei diritti umani nel Paese, aveva incontrato qualche giorno prima Demirtas per preparare la richiesta di scarcerazione per lui e gli altri deputati coinvolti nell’inchiesta, compresa la co-leader della forza politica Figen Yuksekda.
Secondo il sito web del giornale di opposizione Cumhuriyet, che continua a essere attivo nonostante la sospensione della pubblicazione cartacea, l’avvocato è stato prelevato con la forza dalle unità speciali della polizia che hanno fatto irruzione all’alba del 15 novembre nella sua abitazione nella zona di Kurtulus, sequestrando del materiale.
Piskin è molto noto per il suo attivismo in Turchia e per il suo impegno a favore del movimento Lgbt turco.
Parallelamente all’azione repressiva nei confronti degli oppositori, il presidente Recep Tayyip Erdogan continua a portare avanti il suo tentativo di imbavagliare l’informazione libera. E non solo arrestando giornalisti e chiudendo testate turche.
L’ultima sua dichiarazione sui media non lascia adito a dubbi.
Per Erdogan i giornalisti stranieri “sono ostili” e rimprovera alla stampa internazionale “la simpatia per il Pkk e Feto”, la presunta rete golpista di Fethullah Gulen.
Un nuovo, diretto, attacco agli organi di informazione esterni, dunque, accusati di essere “faziosi” sin dalle proteste di Gezi Park del 2013.
Parlando in occasione della cerimonia ufficiale di lancio di Trt World, il nuovo canale in lingua inglese della televisione di stato, già attivo da alcuni mesi, il presidente turco lo ha definito “la finestra della Turchia verso il mondo” che può ‘smascherare’ la propaganda anti Ankara dei media di altri Paesi.
Nella sua filippica contro i giornalisti Erdogan si è spinto anche oltre, sostenendo che “se il colpo di stato fosse riuscito, la stampa straniera avrebbe offerto le sue penne per legittimarlo, come fatto in passato”.
Ed è in questo contesto ostile che è maturato il fermo di un giornalista francese, avvenuto l’11 novembre vicino al confine sud-orientale con la Siria.
Dopo essere stato trattenuto e interrogato dalle forze di sicurezza per due giorni Olivier Bertrand è stato espulso dalla Turchia. A riferire dell’episodio Isabelle Roberts, direttrice del sito d’informazione online “Les Jours” per cui scrive il reporter arrestato.
L’uomo era stato bloccato a un controllo nella provincia di Gaziantep, dove lavorava a una serie di reportage legati al fallito colpo di stato del 15 luglio.
Secondo l’agenzia di stampa “Anadolu”, Bertrand non avrebbe effettuato la registrazione come giornalista in Turchia e avrebbe scritto “articoli favorevoli” ai presunti responsabili del tentativo di golpe.
Le autorità francesi hanno chiesto chiarimenti ad Ankara e il ministro degli Esteri, Jean-Marc Ayrault, ha definito il fermo di Bertrand un fatto “scioccante e inaccettabile”.
Il giorno dopo l’arresto del giornalista d’Oltralpe, è toccato a un rappresentante dell’informazione turca. La polizia ha infatti eseguito un mandato di cattura per Akin Atalay, editore di “Cumhuriyet”.
Il fermo di Atalay è stato disposto dopo che lo scorso 5 novembre il tribunale di Istanbul aveva confermato la custodia cautelare per nove tra dipendenti, giornalisti e personale dirigente del quotidiano indipendente, tutti arrestati in un blitz il 31 ottobre. Atalay, anch’egli oggetto di indagini da parte della magistratura, si trovava all’estero ed è stato prelevato all’aeroporto appena atterrato dalla Germania dove aveva partecipato ad una cerimonia commemorativa in ricordo dell’attore turco Tarik Akan, deceduto lo scorso settembre.
L’accusa, come per gli altri arrestati, è di favoreggiamento dell’organizzazione creata dal predicatore musulmano Gulen, considerato il più acerrimo nemico di Erdogan.
Tra i giornalisti e dipendenti di Cumhuriyet ancora in carcere, il direttore Murat Sabuncu, il vignettista Musa Kart e i membri del Consiglio di amministrazione del quotidiano Guraz Tekin Oz, Mustafa Kemal Gungor, Turhan Gunay, Hakan Kara, Onder Celik e Bulent Utku.
Gli editorialisti Hkimet Cetinkaya e Aydin Engin sono invece stati rilasciati in regime di libertà vigilata e con il divieto di espatrio.
Cumhuriyet è finito nel mirino del presidente turco per la pubblicazione di un’inchiesta, con tanto di fotografie, sul traffico di armi tra Turchia e Siria gestito dai servizi segreti di Ankara.
Da quel momento le autorità giudiziarie, oltre ai provvedimenti che hanno portato alla sospensione delle pubblicazioni, con i mandati di arresto delle ultime settimane hanno messo in ginocchio la redazione dello storico quotidiano.
Su questo caso, come su altre inchieste e processi che vedono indagati e imputati giornalisti e intellettuali si è espresso con fermezza il relatore speciale sulla libertà d’espressione delle Nazioni unite, David Kaye, in Turchia per la sua prima visita ufficiale per valutare la situazione del diritto a manifestare le proprie opinioni a seguito del fallito golpe.
Dal 15 luglio scorso 70mila funzionari sono stati licenziati e oltre 56mila sospesi. Da fine luglio non c’è giorno che non si animi una manifestazione di dissenso, repressa sistematicamente con la forza.
Proprio nei giorni in cui era nel Paese l’inviato Onu, si sono verificati momenti di tensione. In particolare all’università del Bosforo di Istanbul, una delle più prestigiose della Turchia.
Alcuni studenti sono stati fermati dalla polizia, che ha disperso una protesta contro il nuovo rettore, il professor Mehmed Ozkan, nominato direttamente dal presidente Erdogan.
La contestazione è scaturita dalla mancanza di trasparenza sulla nomina, maturata senza tenere conto della volontà degli accademici dell’Ateneo.
Il rettore uscente, la professoressa Gulay Barbarosoglu, aveva ottenuto l’86% dei voti nelle elezioni interne di luglio, annullate dalla nomina di Erdogan.
Dopo la decisione in favore di Ozkan la Barbarosoglu ha annunciato il ritiro dalla vita accademica.
La scelta di Ozkan era già stata contestata, nei giorni scorsi, da circa 350 accademici dell’università che avevano ricordato come la sua candidatura, confermata poi per decreto, era stata ritirata dal dibattito parlamentare dopo forti polemiche.
Un vero e proprio atto di regime che, c’è da scommettere, non resterà isolato.


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