Dopo l’apertura ufficiale il 6 luglio e l’udienza meramente interlocutoria di metà settembre, è ripreso lo scorso 10 ottobre davanti alla Corte d’Assise di Milano il processo per l’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia.
A dover rispondere dell’assassinio del magistrato, ucciso nel capoluogo piemontese il 26 giugno 1983, Rocco Schirripa, arrestato nel dicembre dello scorso anno, in qualità di esecutore materiale.
Il processo nelle prime due udienze è andato avanti a rilento a causa del fatto che la Corte, retta temporaneamente dal giudice Ilio Mannucci Pacini, in qualità di supplente, era in attesa di essere integrata dal presidente titolare.
Dopo quattro mesi, il posto vacante non è ancora stato assegnato e per superare l’impasse, all’inizio della nuova udienza, il presidente supplente ha voluto comunque avviare la discussione, a partire dalle questioni preliminari, tra cui la richiesta di costituzione delle parti civili.
Su questa vicenda vorremmo soffermarci con la nostra analisi, tralasciando il racconto di quanto avvenuto nel processo su altre questioni rilevanti quali l’ammissibilità delle intercettazioni effettuate o l’ammissione dei testi proposti dalle parti.
Per la cronaca di quanto avvenuto rimandiamo all’articolo di Alessandra Venezia e Demetrio Villani realizzato per Stampo Antimafioso.
Libera Informazione cercherà di seguire nei prossimi mesi lo svolgimento del processo con l’aiuto dei coordinamenti di Libera, a partire da quello Libera Piemonte che sulla figura di Bruno Caccia tanto ha realizzato e lavorato in questi anni e di Stampo Antimafioso.
Libera, respinta la costituzione di parte civile
Oltre la famiglia di Caccia – figli e nipoti del magistrato assistiti dall’avvocato Fabio Repici – avevano fatto richiesta di essere ammessi al processo in qualità di parti lese anche la Presidenza del Consiglio, il Ministero di Giustizia, la Regione Piemonte, il Comune di Torino e l’associazione Libera.
Dopo essersi ritirata per un’ora in camera di consiglio, la Corte d’Assise ha emesso un’ordinanza riguardante le richieste avanzate.
Alla presenza dei familiari di Caccia e di molti giovani dei presidi piemontesi e milanesi di Libera, il presidente ha letto l’ordinanza con la quale ha ammesso al processo le istituzioni nazionali e locali e ha escluso invece Libera.
La legittimazione in capo alla Presidenza del Consiglio e al Ministero di Giustizia è stata recepita in ragione del ruolo e del prestigio dell’istituzione rappresentata da Caccia, al momento della sua uccisione e dei danni funzionali arrecati alla struttura statuale e al funzionamento della giustizia in quel circondario. Come pure è stato riconosciuto un potenziale danno inferto a Comune e Regione, in qualità di enti territoriali, immediatamente toccati dalla violenza dell’omicidio in danno dell’allora procuratore capo di Torino.
Ampio spazio nell’ordinanza è stato quindi dedicato alle ragioni dell’esclusione dell’associazione Libera.
Pur riconoscendo il valore dell’esperienza associativa e del ruolo svolto anche nelle aule di giustizia del nostro Paese, con la costituzione di parte civile in numerosi processi, la Corte ha ritenuto di dover interpretare alla lettera la previsione di legge.
Non è stata riscontrata cioè la possibilità di un danno diretto in capo a Libera, per una mera ragione temporale, in quanto al momento dell’uccisione del procuratore (1983), l’associazione non era ancora stata formalmente costituita. La carenza di legittimazione ad agire in capo a Libera è stata motivata con l’impossibilità di ritenere che un fatto anteriore alla nascita dell’associazione, come l’omicidio in questione, possa avere causato un concreto pregiudizio alla stessa.
A nulla è valsa la ricca documentazione presentata dall’avvocato Enza Rando delle attività svolte da Libera, tanto a livello nazionale quanto in Piemonte, tra cui si segnalavano il riutilizzo a fini sociali della “Cascina Bruno e Carla Caccia”, un bene di proprietà della famiglia Belfiore in quel di San Sebastiano Po o la costituzione di parte civile nel processo Minotauro. Tutte iniziative e attività che sono espressione dell’interesse di Libera al contrasto dell’associazione di marca ‘ndranghetistica, responsabile dell’omicidio di Bruno Caccia.
La Corte non ha riconosciuto in astratto la configurabilità a carico di Libera di un danno economico e di una lesione di un diritto proprio. Cosa che, invece, era avvenuta nel processo tenutosi a Trapani per l’omicidio del giornalista Mauro Rostagno. In quel caso, invece, il lasso di tempo intercorso tra l’uccisione di Rostagno (1988) e la nascita di Libera (1995) era stato valutato irrilevante ai fini dell’ammissione al processo dell’associazione.
L’avvocato Rando ha manifestato il profondo dispiacere per la decisione della Corte, pur rispettandone l’ordinanza e ritenendola ben motivata, perché in linea con una parte significativa della giurisprudenza sulla materia – sebbene non vi siano profili di univocità e le speranze di ammissione si alimentavano anche di questa disparità di giudicati – e ha dichiarato che, pur nel rispetto dovuto alla decisione di esclusione, Libera non mancherà comunque di presenziare alle prossime udienze, pur non potendo interloquire ufficialmente come parte ammessa.
Il rispetto della memoria
Giunti a questo punto, alcune osservazioni sono doverose.
Il lavoro dell’ufficio legale di Libera è stato encomiabile, anche in questo caso apparentemente risolto con un esito negativo. Basti solo pensare al fatto che da diversi anni le costituzioni di parte civile in alcuni dei processi di mafia più importanti del nostro Paese hanno visto l’associazione sempre in prima linea.
Non è da escludere, anzi ne siamo certi, che proprio questa presenza nelle aule con giovani e adulti, al fianco delle vittime delle mafie sia stato un elemento che ha provocato e provoca profondo fastidio nelle organizzazioni mafiose. Le reazioni potrebbero essere le più varie, compresa la possibilità di alimentare una stagione di calunnie e accuse infondate nei confronti della stessa Libera.
Nel caso del processo Caccia, sono prevalse ragioni di stretto diritto difficili da superare, quando ci si attiene, correttamente, alla lettera della legge. Su questo nulla da eccepire: le sentenze e le ordinanze si rispettano, anche quando non ti danno ragione, soprattutto quando non ti danno ragione.
Detto questo il processo Caccia è ora diventato più importante di prima per Libera, esclusa come parte dalle udienze, ma chiamata ad una presenza di sostanza.
Lo è tanto per la valenza storica del processo (il processo d’infiltrazione della ‘ndrangheta al nord), quanto per il rispetto dovuto al procuratore ucciso e alla sua famiglia, come segno di un’attenzione costante e crescente che Libera ha nel corso di oltre vent’anni riservato al tema della memoria.
Circostanza quest’ultima provata soprattutto dall’introduzione nello statuto dell’associazione dei referenti della memoria, da scegliere tra i familiari delle vittime innocenti, che si stanno affiancando nei diversi territori ai referenti regionali e provinciali di Libera.
Quando diciamo che i familiari delle vittime sono il patrimonio e il futuro di Libera, intendiamo sottolineare come su di loro e sulla loro responsabilità poggiano i destini dell’associazione diretta da don Luigi Ciotti. Solo loro e la loro maturità e credibilità possono garantire Libera da rischi di implosione o di frantumazione, derivanti da attacchi esterni – cominciati peraltro già da tempo, supportati da una voglia di distruggere che meriterebbe ben altri oggetti d’attenzione – o da derive o incapacità interne.
E quindi, la presenza alle udienze del processo Caccia dei giovani di Libera, non solo di Milano, ma del Piemonte e delle altre regioni limitrofe sarà un bel segnale.
Non dimentichiamo che proprio la presenza al fianco di Denise, durante il processo per l’omicidio di sua madre, la testimone di giustizia Lea Garofalo, è stato sicuramente un fattore importante.
Anche in quella circostanza Libera non era costituita parte civile, nonostante Enza Rando fosse la legale di Denise, ma è proprio in processi come questi, dove non è in gioco un potenziale interesse risarcitorio per l’associazione, che la presenza di Libera assume un senso maggiore tanto per la crescita interna dell’associazione, quanto per il messaggio che si manda all’esterno.
Insomma, sarebbe bello che quella presenza nell’aula dove si processa il presunto killer di un magistrato italiano sia non sia solo una nota di colore ma anche un segno di responsabilità.
È un atto dovuto a Bruno Caccia: stare vicino alla sua famiglia durante il processo è un modo concreto per rimediare alla solitudine nella quale fu lasciato e all’oblio nel quale è stato lasciato colpevolmente per troppi anni dagli italiani.
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