Edoardo Siravo, Emanuele Salce, Manuele Morgese in “Le nostre donne” di Eric Assous- musiche originali di Patrizio Marrone scene di Lorenzo Cutùli regia di Liviao Galassi Prod. Teatrozeta Sala Umberto di Roma
Tre coppie in crisi, come tante altre che trascinano le loro incomprensioni senza l’energia per affrontarle e tentare di risolverle. Due amici aspettano un terzo per una partita a carte. Il ritardatario arriva sconvolto confessando che in un impeto d’ira ha strangolato la moglie (così crede) e chiede aiuto e protezione: la testimonianza di un alibi falso.
Sgomento, perplessità, indecisioni, paure, egoismi, tutto viene sviscerato del loro ambiguo legame: sarcasmo, disistima, ingratitudine, rivalità taciute e rinfacciate con furioso disprezzo. Crollo dell’amicizia oltre a quello sentimentale. Ma dalle macerie pian piano – con un colpo di scena – le cose tentano di ricomporsi alla meno peggio e si può proseguire con l’acre sollievo della verità. Rimettendo in gioco le carte della vite, dentro e al di fuori del tavolo verde
Amate, odiate, rimpiante, assenze materializzate dai discorsi dei loro uomini in crisi, come loro: colpe riconosciute (colpe imputate; nessuno innocente, nessuno felice, nessuno autonomo), le donne cui si intitola la commedia non appaiono ma “incombono”- letteralmente, come negli osborniani ‘ricordi con rabbia’ (e sconforto)
Non difetta di classe, autocritica (dei personaggi), parco uso dei mezzi espressivi “Le nostre donne” primo spettacolo-in pratica- della nuova stagione romana (almeno per chi ama scandire il calendario delle convenzioni), di scena alla Sala Umberto, prima di una breve tournée autunnale. Fissando le proprie qualità di ‘spettacolo compiuto ed omogeneo’ sulla qualità della tessitura drammaturgica e della sua trasposizione scenica: mediante un tangibile lavoro dialettico-tensivo (di regia ed interpreti) indubbiamente raffinato ed intelligente.
Osando sfiorare la farsa ma poi addentrandosi su tematiche profonde e ‘del profondo’ tipo (anche di carattere etico), ove la promessa, la scelta dei due attori protagonisti (Salce e Siravo, eccellenti e sfaccettati) espletano la funzione basica del ‘dire e dell’agire’: in crescendo di animosità e tensioni. La spontaneità, la naturalezza del costrutto scenico introducono la ricorrente situazione dell’attesa in atmosfere di sospensione, ben rappresentata dalla ‘sezione’ scenografica (un rituale interno borghese) che fa sentire, da subito, partecipi di un sentimento comune: l’amicizia, nei suoi risvolti di complicità, rancore, rivalità represse, solidarietà da riconquistare.
Egregiamente dosata sino a spingersi al limite della farsa, la regia di Galassi (che lavora di bisturi e bulino su uno dei migliori testi di Assouss, autore francofono contemporaneo, che non vale certo meno la più celebre collega Yasmine Reza) induce gli interpreti a non sbilanciarsi, a ritrarsi con maestria (e credibilità) per meglio adombrare i bilanci esistenziali stemperati dai filtridi un sincero disincanto.
L’intelligenza della scrittura e del suo ritmo, il teatrale ribaltamento dei ruoli impreziosiscono una partitura a più voci (e stati d’animo) che attraversa tutti gli umori del presente. Facendo centro nel suo duplice scopo di essere, al contempo, leggero e spietato, coinvolto e coinvolgente.
Luci, scenografia (con gigantografie di dipinte donne fertili, opulente), costumi, arredi, oggetti: tutto ciò che appare o entra in scena avrà infatti ‘senso’ e’ ruolo’, applicati al nitore di un’ articolata vicenda che si inabissa oscura e riaffiora dissolvendosi alla tenue luce di un mattino. Per un pallido sentimento di speranze prive di rassicurazione e garanzie di buona sorte.
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Edoardo Siravo, Emanuele Salce, Manuele Morgese in “Le nostre donne” di Eric Assous- musiche originali di Patrizio Marrone scene di Lorenzo Cutùli regia di Liviao Galassi Prod. Teatrozeta Sala Umberto di Roma