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Milano, Fnsi e Efj rilanciano la mobilitazione per dire «No Bavaglio sempre, comunque e dovunque»

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Omicidi, mutilazioni, arresti arbitrari, torture. È quello che subiscono ogni giorno centinaia di giornalisti che con il loro lavoro testimoniano quanto accade in realtà come la Turchia, l’Egitto e la Siria. Se n’è parlato con i vertici della Fnsi nel corso del convegno internazionale “No Bavaglio sempre, comunque e dovunque” organizzato al Circolo della Stampa di Milano.

Omicidi, mutilazioni, arresti arbitrari, torture. È quello che subiscono ogni giorno centinaia di giornalisti, compresi i cosiddetti citizen journalist, che con il loro lavoro testimoniano quanto accade in realtà come la Turchia, l’Egitto e la Siria.

Delle tante difficoltà e pericoli che sono costretti ad affrontare gli operatori dei media in quei Paesi si è parlato al convegno “No Bavaglio sempre, comunque e dovunque”, organizzato al Circolo della Stampa di Milano dal segretario generale aggiunto della Fnsi, Anna Del Freo, nella sua veste di membro del comitato esecutivo della Federazione europea dei jiornalisti (Efj), insieme con il presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, Paolo Perucchini.

«Una situazione tragica che – ha denunciato Anna Del Freo – non trova spazio adeguato sui giornali e soprattutto si è scontrato col silenzio delle istituzioni europee, preoccupate dalle conseguenza politiche ed economiche di una presa di posizione troppo netta». E l’impunità dei responsabili è purtroppo la regola.

Al convegno hanno portato la loro testimonianza Murat Cinar, giornalista turco oggi residente in Italia, Shady Hamadi, scrittore italo siriano autore di saggi sulla Siria, Giovanni Piazzese, esperto di comunicazione che fino all’anno scorso ha lavorato in Egitto collaborando per testate italiane e Stefania Battistini, giornalista della Rai e rappresentante dell’associazione Articolo 21, che ha lanciato l’appello delle colleghe dell’emittente curda Med Nuce (chiusa dal regime) fatto proprio anche dalle Cpo di Fnsi e Usigrai.

Con loro anche i vertici della Federazione nazionale della stampa italiana, con il presidente Giuseppe Giulietti e il segretario generale Raffaele Lorusso che, rimarcando la drammatica situazione che giornalisti e cittadini vivono in quei Paesi, hanno anche voluto ricordare il caso del ricercatore Giulio Regeni, ucciso in Egitto.

«La libertà di stampa – hanno ribadito Lorusso e Giulietti – è fondamentale per la democrazia. E questo vale tanto nei Paesi a rischio, quanto per l’Italia, dove ci sono cronisti minacciati dalle mafie e dalle camorre. La censura, anche quella economica, va combattuta e in tutti i casi in cui ad un giornalista viene impedito di svolgere il proprio lavoro o addirittura ucciso o arrestato bisogna reagire con decisione e tenacia. Ogni sforzo è utile, è possibile sempre dare un contributo in questa lotta o comunque provarci».

Anche secondo dati complessi da registrare e non definitivi, come ha spiegato il vicepresidente di Reporters Sans Frontieres Italia, Domenico Affinito, nella sola Siria si contano circa 200 giornalisti morti dal 2011, di cui 14 nel 2016, e centinaia fra arrestati e perseguitati.

In Turchia un morto quest’anno e, secondo la Efj, 92 cronisti sono in carcere. In Egitto negli ultimi anni sono centinaia gli operatori dell’informazione finiti in manette o perseguiti. Ma le leggi che riducono gli spazi della stampa non si limitano al vicino Oriente. Si stanno infatti diffondendo nei Paesi dell’ex Urss, in Ungheria, Francia e Spagna. In tutto il mondo, secondo il Consiglio d’Europa, nel corso del 2016 nel mondo sono già stati uccisi 60 giornalisti.

I vertici del sindacato dei giornalisti denunciano da tempo questa situazione, ogni giorno più insostenibile e, a chiusura del convegno milanese, hanno annunciato che si faranno promotori di una serie iniziative, con il sostegno delle Federazioni internazionale ed europea dei giornalisti, per sensibilizzare l’Unione Europea e i governi nazionali. «La Efj – ha concluso Anna Del Freo – continuerà la sua battaglia a sostegno dei giornalisti che cercano di fare il loro lavoro nelle aree a rischio in Europa e nel mondo».


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