“Sono nato a Ninive, oggi Mosul. Dalla mia casa vedevo il sole annegare nelle acque del Tigri. Il calore evaporava l’orizzonte sulle guglie di Babele. Ora (mi dicono) si parla una sola lingua. Le maestranze sono tornate dietro i confini scavati in trincee di sabbia, basta un niente al tramonto per succhiare la miseria. Ora (mi dicono) si parla una sola lingua. Grandi fuochi incendiano l’aria, il fumo nero di catrame stringe la gola. Ora (mi dicono) si parla una sola lingua. Ed è quella di Amleto”. Nell’infinita storia della Mesopotamia ho trovato, quando stavo in Iraq, anche questo acquarello. Sembra un racconto di oggi con il fumo nero che attanaglia la seconda città del Paese, e quelli che parlano la lingua di Amleto stare alla guida della battaglia per la liberazione dall’Isis. Mosul, ieri Ninive, sta a nord, molto a nord, oltre Tikrit, oltre la Kirkuk curda ed è lì che il Califfato aveva intenzione di mettere le basi dello Stato Islamico, al confine con la Siria. Ieri l’esercito di Baghdad, appoggiato pesantemente dalla coalizione, ha riconquistato Dabiq ed ora punta su Mosul. Nonostante le dichiarazioni euforiche del premier Haider al Abadi non sarà facile né soprattutto breve. Ci sono da sconfiggere settemila terroristi. L’attacco è sicuramente massiccio ma ci vorranno molte settimane, anche perché il rischio degli scudi umani è concreto.
Sono presenti in zona, com’è noto, più di cinquecento militari italiani, impegnati nella difesa della diga, ristrutturata dalla ditta Trevi di Cesena. Il loro ruolo dovrebbe essere marginale, ma potrebbero anche costituire un obiettivo estremo per il Daesh. Cauto il generale Townsend, comandante della coalizione, anche perché ci sarà da gestire anche il flusso di quasi un milione di rifugiati. Diciamo insomma che è cominciata finalmente la liberazione, alcuni punti cardine sono già stati conquistati, ma la guerra al terrorismo sarà ancora lunga e difficile.