Al di là delle tecnicalità in cui si articola, la Riforma Costituzionale rivela una ratio, un significato profondo, che si collega ad un processo di “perfezionamento” della Costituzione del 1948.
“Le riforme istituzionali – osservava nel 1988 Roberto Ruffilli, artefice di un disegno riformatore tragicamente interrotto dalla mano violenta delle brigate rosse – se vogliono essere indirizzate allo sviluppo delle conquiste della democrazia repubblicana….debbono collegarsi ad un perfezionamento della Costituzione…”. Un perfezionamento richiesto – continuava Ruffilli – “dagli innegabili limiti del disegno costituzionale in ordine ad una forma di governo parlamentare non compiutamente realizzata per quanto riguarda la stabilità dell’Esecutivo. Limiti che non sono il risultato di scelte astratte o arretrate; sono invece l’effetto del mancato accordo pieno alla Costituente tra le forze antifasciste sui fondamenti della democrazia. In ogni caso, il completamento di un tale accordo rende possibile adesso andare avanti nell’opera lasciata a metà dalla Costituente, creando le condizioni, anche istituzionali per il rapporto dialettico fra un Esecutivo stabile ed un Legislativo saldo, sulla base di un’applicazione adeguata del principio di maggioranza, reso efficace dalla possibilità dell’alternanza” (Roberto Ruffilli – Il cittadino come arbitro, pagg. 398-399, Il Mulino 1988).
Nella prospettiva di un completamento del disegno costituzionale, Ruffilli introduce due esigenze: la stabilità del governo; la saldezza (diremmo oggi l’efficacia dell’azione legislativa) del Legiferare. A queste due domande può rispondere solo un sistema democratico fondato sul principio di maggioranza, che per definizione esclude ogni tipo di consociativismo e di trasformismo, e sulla possibilità dell’alternanza.
E’ proprio la democrazia dell’alternanza la ratio della Riforma costituzionale. Un obiettivo antico che finalmente viene raggiunto. Il completamento del disegno costituzionale nella sua parte riguardante l’organizzazione dello Stato. Per il conseguimento di questo obiettivo, generazioni di cattolici democratici (dalle ACLI alla FUCI)si sono impegnate, a partire dalla stagione referendaria del 1993 per la abolizione delle preferenze: strumento considerato, allora, foriero di corruzione, ed oggi invece esaltato come massima espressione della “sovranità popolare”.
La riforma, infatti, come sottolinea Sergio Fabbrini, neutralizza tre aporie che l’attuale sistema istituzionale costantemente manifesta. La prima, l’instabilità degli Esecutivi , è superata grazie al riconoscimento del potere di fiducia solamente alla camera dei Deputati. La seconda, l’incertezza legislativa, è superata attraverso il riconoscimento al governo di una corsia preferenziale alla Camera dei deputati per i disegni di legge considerati prioritari in base al programma politico per il quale ha ottenuto la maggioranza. La terza, la conflittualità tra governo nazionale e governi regionali, è superata attraverso un ri-centramento dei poteri (Sergio Fabbrini, Democrazia governata per pesare in Europa – Il Sole 24 Ore 9.10.2016).
La Riforma si colloca, dunque, a valle di un processo di perfezionamento del disegno costituzionale reso possibile grazie al definitivo superamento delle condizioni storico-politiche che avevano reso incompleto quel disegno. Si potrebbe dire, ancora, grazie ad un processo di “laicizzazione” del confronto politico.
Tutto il resto è pretestuosa polemica, o se si vuole, l’estremo tentativo delle ideologie, di destra e di sinistra , di tornare a interpretare, con strumenti ormai logori, la realtà della vita delle Istituzioni e quindi delle Comunità.