La “Nuova Via della Seta”, opportunità per mafiosi e trafficanti

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Di Piero Innocenti

Non so se è stato letto con la dovuta attenzione lo studio sulla criminalità organizzata transnazionale presentato lo scorso anno dall’ufficio dell’UNODC di Vienna (l’agenzia delle Nazioni Unite su droga e crimine) sui traffici illeciti nell’area del Greater Mekong. Si tratta di una vasta regione particolarmente problematica composta da sei Stati (Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia, Vietnam e Yunnan-Cina) gravitanti nel bacino del fiume Mekong dove il narcotraffico ed altri delitti contro l’ambiente sono, da tempo, una seria minaccia. Con tale studio (“Border Control in the Greater Mekong Sub-Region”), le Nazioni Unite hanno offerto alle autorità dei paesi interessati un prezioso documento strategico per  elaborare auspicate linee di indirizzo ed operative per le forze di polizia addette al controllo delle frontiere terrestri.
L’auspicio è che il rapporto sia letto (e studiato) attentamente anche dalle nostre parti per comprendere meglio il periodo, senza precedenti, di integrazione socio economica che sta attraversando il sud-est asiatico, l’effervescenza che sta vivendo sul piano degli scambi commerciali e della connettività con l’Europa e il Nord America ma anche del pericolo di collegamenti e saldature criminali sempre più estese. Per questo i dieci stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), negli ultimi cinque anni, stanno facendo consistenti investimenti nella costruzione di numerose strade, ponti, ferrovie, porti e aeroporti. Tutto ciò, naturalmente, significherà maggiori opportunità di movimenti per la criminalità organizzata, in particolare quella collegata al commercio degli stupefacenti e, di riflesso, l’esigenza di controlli più attenti di frontiera.
L’obiettivo dell’UNODC è, dunque, di proporre interventi che possano migliorare il sistema di sicurezza, favorendo la cooperazione transfrontaliera attraverso meccanismi multi-agenzia, ottimizzando la concentrazione delle informazioni di polizia, favorendone la circolarità dopo averle analizzate per le eventuali operazioni di contrasto. Si tratta di un progetto interessante tanto più se si guarda alla grande attenzione con cui la Cina guarda all’Eurasia, soprattutto dopo la creazione della cosiddetta  “Nuova Via della Seta” (la Via della Seta è il nome con cui si indicavano le antiche rotte commerciali che collegavano le due estremità del continente euroasiatico attraverso i paesi dell’Asia Centrale ossia Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagjkistan). Oggi, un’estremità del continente euroasiatico è costituita dall’economia europea particolarmente sviluppata e l’altra dall’economia a rapida crescita dell’Asia Pacifico (le aree costiere della Cina orientale), con la grande regione centrale meno sviluppata che sta nel mezzo. Una regione che conta appena poco più di sessanta milioni di abitanti, quasi l’equivalente di una provincia di media grandezza della Cina, e che può tornare ad essere lo snodo della Via della Seta in un contesto di cooperazione che coinvolge l’Asia centrale, l’Asia occidentale, quella meridionale e una decina di paesi europei.
Questa visione della politica estera del presidente cinese Xi Jinping dovrebbe portare ad un grande sviluppo con un flusso di persone, beni e capitali senza precedenti nel continente euroasiatico, nelle regioni occidentali cinesi e in tutti i paesi che si trovano lungo la “Cintura Economica della Via della Seta”. Un grande mercato che ha sollecitato certamente gli interessi delle mafie italiane (soprattutto della ‘ndrangheta che, come noto, ha già straordinarie proiezioni in moltissimi paesi) e di quelle straniere più agguerrite che, probabilmente, hanno già inviato in loco propri rappresentanti per avviare intese e stabilire accordi con la criminalità organizzata locale (le Triadi, in particolare)  ma anche per studiare attentamente l’ambiente anche ai fini del possibile reimpiego di capitali illeciti. Insomma, OBOR – l’acronimo di “One Belt, One Road” (una cintura, una strada), utilizzato dagli organi di informazione cinesi per riferirsi alla “Silk Road Economic Belt” – può diventare una ulteriore “strada” di interesse strategico anche per mafiosi e  narcotrafficanti di molti paesi.

Da liberainformazione


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