Sono già passati quattro anni e di Khalil Ma’touq, uno dei più noti avvocati per i diritti umani della Siria, e del suo assistente Mohamed Thatha continuiamo a non avere notizie. Fanno parte degli oltre 58.000 desaparecidos del conflitto siriano. Fino al giorno dell’arresto, Ma’touq dirigeva il Centro siriano di studi e ricerche legali e aveva difeso numerosi prigionieri politici.
Il 2 ottobre 2012 Ma’touq e Thatha sono stati fermati a un posto di blocco governativo a Sahnaya, alla periferia di Damasco, mentre si stavano recando al lavoro. Le autorità siriane continuano a negare di averli arrestati ma nel 2015, hanno riferito ex detenuti, i due uomini sono stati visti in varie strutture detentive, tra cui la sezione 285 dei servizi di sicurezza civili e la sezione 235 dell’intelligence militare, entrambe a Damasco.
Nei centri di detenzione gestiti dai numerosi servizi di sicurezza del governo siriano le condizioni sono agghiaccianti. Migliaia di persone vi sono morte di tortura e malattie. Ex detenuti della sezione 235 hanno raccontato di celle sovraffollate, cibo scarso, acqua insufficiente, servizi igienici fatiscienti. E, soprattutto, di una media di cinque morti al giorno. Quelle morti di tortura, Amnesty International le denuncia da decenni.
Quei corpi martoriati dalla tortura possono essere visti fino al 9 ottobre, abbassando il capo per l’orrore e pretendendo un processo per chi ha ordinato, eseguito, consentito e condonato tutto questo, al Maxxi di Roma, sede della mostra “Nome in codice Caesar: detenuti siriani vittime di tortura”, promossa da Articolo 21, Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana), Amnesty International Italia, Focsiv – Volontari nel Mondo, Un Ponte Per e Unimed – Unione delle Università del Mediterraneo.