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Haiti, il racconto di una cooperante: mancano acqua, cibo e medicinali

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Sono un milione gli haitiani in emergenza umanitaria dopo il passaggio di Matthew. Caporizzi (Gvc): “Il colera ha cominciato a diffondersi, ci sono villaggi in cui è stato distrutto il 100% delle strutture idriche”. E si stima che l’80% dei raccolti andrà perso

PORT AU PRINCE (Haiti) – Quasi 400 morti accertati, 1 milione di persone – il 10 per cento della popolazione – in emergenza umanitaria, e ci sono già le prime vittime del colera. Una settimana dopo è questo il bilancio, ancora provvisorio, del passaggio dell’uragano Matthew da Haiti. “Sapevamo che sarebbe passato, ma non con questa violenza. In un primo momento si pensava che avrebbe virato verso la Giamaica poi, repentinamente, ha cambiato direzione ed è arrivato qui”, racconta Chiara Caporizzi, operatrice dello staff della ong bolognese Gvc sull’isola caraibica. Preventivamente, tutti gli uffici erano stati chiusi per due giorni e le persone erano state invitate a rimanere in casa: “Il governo e la protezione civile hanno emanato diversi messaggi, hanno allestito alloggi provvisori e provveduto a far evacuare determinate zone quando ci si è resi conto che la situazione era più grave del previsto”. Raffiche di vento a 200/250 km/h che hanno sferzato per 10, 12 ore l’isola, una pioggia torrenziale che ha fatto esondare i fiumi, con il terreno incapace di trattenere altra acqua, il mare grosso e violento: “Viviamo in una perenne condizione di vulnerabilità: anche le piogge forti ci mettono in difficoltà, e portano sempre enormi problemi. Pensate a un uragano: i canali si sono riempiti, bloccando le strade e riversandovi un sacco di spazzatura”. E se nella capitale la situazione, tutto sommato, è stata tenuta sotto controllo, in altre zone dell’isola le precauzioni non sono state sufficienti: “C’è stato un grande sforzo, ma il messaggio non è arrivato a tutti: nelle zone più povere, come le bidonville sul mare, non tutti hanno il cellulare o la radio. C’è anche chi non vuole abbandonare le poche cose ha, per paura di non ritrovarle. Così, chi si è messo in fuga troppo tardi purtroppo non è sopravvissuto”.

Del milione di persone in emergenza umanitaria, ci sono sfollati ospitati nelle strutture messe a disposizione (scuole, nella maggior parte dei casi), ci sono i malati (già malati prima di Matthew) e i feriti, e c’è chi ha perso tutto e ha bisogno immediato di cibo, medicinali e, soprattutto, acqua: “Anche per questo il colera ha cominciato a diffondersi. Perché ci sono villaggi in cui è stato distrutto il 100 per cento delle strutture idriche”. Così, la prima fase degli interventi prevede la verifica dei danni e la predisposizione di interventi urgenti, “in coordinamento con il governo e con le altre ong. Stiamo procedendo con l’invio di equipe di valutazione nei vari settori, dalla protezione sociale all’alimentazione – continua Caporizzi – . In questo modo potremo mettere a punto una strategia di risposta sostenibile”.

L’uragano, il più forte degli ultimi 10 anni, ha distrutto anche i raccolti, con gravissime conseguenze sulla già scarsa disponibilità di cibo nell’area: si stima che almeno l’80 per cento dei raccolti andrà perso. “Aggiungo, per capire la portata del dramma, che ad Haiti – uno tra i Paesi più poveri al mondo, dove il 90 per cento delle famiglie nelle zone rurali vive sotto la soglia di povertà e il tasso di mortalità infantile è dell’88 per cento – si vive di agricoltura”. Tra un paio di mesi potrà partire la seconda fase, dedicata alla ricostruzione e alla riabilitazione di scuole e ospedali, al supporto delle zone rurali perché i cittadini possano riprendere l’attività agricola (quindi anche distribuendo sementi e valutando lo stato di fertilità del suolo) per scongiurare una carestia durante la prossima stagione di secca.

“Da quando come Gvc siamo ad Haiti, da dopo il sisma del 2010 che costò la vita a 230 mila persone – spiega Federico Palmas, responsabile GVC per l’area del Centro America e i Caraibi – , abbiamo lavorato molto sul rafforzamento dell’agricoltura di sussistenza e non, proprio per aiutare il Paese a raggiungere una sostenibilità alimentare soddisfacente, introducendo nuovi sistemi di coltivazione, impiegando specie e tecniche colturali più adatte a climi aridi e inariditi e ridurre gli effetti del degrado ambientale”.

Tra l’urbanizzazione selvaggia (case costruite negli argini o in riva al mare, la deforestazione (“una piaga – commenta Caporizzi –: solo il 2/3 per cento del territorio è a copertura vegetale”), il terremoto del 2010 e il passaggio dell’uragano Sandy del 2012, la situazione sull’isola è critica, “ma sono stati fatti tanti passi avanti – specifica Palmas –. Certo di tempo ce ne vuole moltissimo. Portiamo avanti meccanismi di scambio anche con le protezioni civili degli altri Paesi, incluso quella dominicana sebbene i rapporti tra i due Stati non siano tra i più distesi. C’è tanta capacità locale che si è mobilitata e continua a lavorare. Naturalmente lavoreremo perché non rimanga scoperta nessuna zona, nemmeno quelle che adesso non sono sotto i riflettori. Io partirò tra poco, sarò a Cuba, nella Repubblica Dominicana e ad Haiti che, per portata, avrà la priorità”.

Per sostenere la popolazione di Haiti, è possibile effettuare una donazione sul conto corrente IBAN IT21A0501802400000000101324 o in posta attraverso il conto corrente C/C 000013076401 intestato a GVC onlus con causale “Emergenza Haiti”. Inoltre si può effettuare anche una donazione online dal sito www.gvc-italia.org (Ambra Notari)

Da redattoresociale


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