Prima una “mozione urgente” di quattro consiglieri comunali per rimuovere lo striscione “Verità per Giulio Regeni” dalla facciata del municipio di Trieste, in piazza dell’Unità. Poi la mobilitazione di tanti triestini e del quotidiano “Il Piccolo”, che ha trasformato tutta la prima pagina in un enorme striscione giallo. Infine la decisione del sindaco Dipiazza, che – indispettito dal clamore suscitato dalla vicenda – non ha nemmeno aspettato la discussione in consiglio comunale della “mozione urgente” e ha fatto togliere lo striscione. Perché “é passato tanto tempo e si rischia l’assuefazione visiva”, perché “il turista che arriva a Trieste ha diritto di vedere le facciate dei palazzi in piazza Unità senza scritte e striscioni”, perché “il Pd ha organizzato questa gazzarra”.
«Una scelta che non comprendo – ha detto al “Piccolo” il filosofo Massimo Cacciari -, anche se sappiamo che uno striscione purtroppo non cambia le cose. Sarebbe stato serio parlarne con la famiglia del giovane, chiedere innanzitutto a loro se ritengono ancora utile che quello striscione rimanga lì. Assuefazione? Questo è vero, ma ormai siamo assuefatti anche alle centinaia di morti in mare, che stentano a trovare spazio persino sui giornali».
Lapidario Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano e volto televisivo: «Una scelta assolutamente vergognosa, soprattutto per una città storicamente così importante per i valori della libertà, della democrazia e della tutela del dissenso».
«Ma cosa sta succedendo a Trieste?», chiede e si chiede Massimo Cirri, scrittore e conduttore radiofonico di “Caterpillar”. «Prima il tentativo di negare piazza Unità per il ricordo dell’annuncio delle leggi razziali. Ora questa storia. Cos’è, voglia di far vedere la propria cattiveria?».
«Trovo – prosegue Cirri – ci sia anche una componente di ipocrisia, nel dire che si crea un effetto di assuefazione: queste persone non hanno nemmeno il coraggio di fare una battaglia diretta. La verità è che la ferita è ancora aperta. È una scelta infelice come i nostri tempi, fra l’altro nella città dove Giulio ha studiato. Il turista che vede lo striscione? Vede che c’è una comunità unita nel chiedere verità…».
Moni Ovadia: «Ma io mi domando: questo sindaco e questa amministrazione, che si sono insediati da poco, non hanno cose più urgenti da fare? Che so, l’economia, la qualità della vita, la cultura…».
«La argomentazioni, poi, mi sembrano risibili. Cosa vuol dire che dopo tanti mesi c’è l’effetto assuefazione? Allora con questo criterio rimuoviamo tutti i monumenti e i memoriali che ricordano fatti tragici. Non disturbare il turista? Allora non parliamo più di guerre, di Siria, delle migliaia di morti in mare. La verità è che questa scelta del Comune è un boomerang, scatena polemiche, divide i cittadini in maniera trasversale, non è una questione di destra e di sinistra, ma un fatto di civiltà».
Ezio Mauro, per vent’anni direttore e ora editorialista di “Repubblica”, sottolinea il ruolo dell’opinione pubblica in questa vicenda. Che «è stato ed è importantissimo – dice – nel richiedere verità e rifiutare spiegazioni di comodo. La memoria di una comunità è fondamentale. Non solo lo Stato e le istituzioni devono fare la loro parte».
«Anche le motivazioni addotte – aggiunge – mi sembrano deboli. C’è una sorta di galateo estetico, non bisogna parlare dei guai perchè ciò danneggia il Paese. Ma il bene di un Paese si fa chiedendo verità e trasparenza, e rimanendo al fianco della famiglia. Trovo dunque importante che Trieste continui a tenere un’attenzione speciale su questa dolorosa vicenda».
Gian Antonio Stella, scrittore e firma di punta del Corriere della Sera: «Capisco le ragioni del sindaco, capisco che ci sia un’assuefazione che a un certo momento può pesare sulla memoria delle persone. Capisco che se uno arriva a Trieste avrebbe piacere di vedere piazza dell’Unità nel suo splendore, senza striscioni che ricordino tragedie e cause peraltro nobilissime. Però togliere lo striscione in questo momento è come voler rimuovere l’effetto memoria su Regeni. E siccome la verità non è ancora arrivata, forse sarebbe stato il caso di lasciare lo striscione al suo posto. La storia ha i suoi tempi. E forse questo non era il momento adatto».
L’eco della vicenda ha raggiunto anche la giornalista triestina Giovanna Botteri, corrispondente Rai da New York: «Non possiamo camminare da soli. E una volta che abbiamo cominciato, dobbiamo prendere l’impegno solenne che andremo avanti, fino in fondo. Non possiamo tornare indietro. Queste cose Martin Luther King le diceva più di cinquant’anni fa. Ma valgono sempre, in tutte le battaglie per la verità. E la giustizia».
Tranchant l’inviato di guerra triestino Fausto Biloslavo, che fa un distinguo. «Togliere lo striscione – scrive su Facebook – è una boiata. Piuttosto sarebbe il caso di aggiungere una semplice parolina: “tutta” la verità per Regeni. Non solo quella a senso unico contro l’Egitto, che ha sicuramente le mani sporche di sangue, ma pure sul ruolo più che ambiguo dell’Università di Cambridge e in particolare dei tutor che lo hanno mandato allo sbaraglio».
La giornalista Sandra Bonsanti, presidente emerito di “Libertà e Giustizia”, già parlamentare: «Inorridisco soprattutto per le motivazioni. Penso che, una volta presa la decisione di esporlo, lo striscione non vada tolto finchè non c’è ancora chiarezza sulla dolorosa vicenda. Qui invece sembra prevalere la decisione di lasciar perdere, di arrendersi alle ragioni degli affari. E la scelta del Comune di Trieste rispecchia proprio questa tendenza».
«La storia di Giulio Regeni – conclude Bonsanti – non può e non deve aggiungersi a quelle di tante persone che vengono abbondanate alla dimenticanza della storia, non è giusto. È passato tanto tempo? Beh, è proprio il motivo per cui quello striscione deve restare esposto…».