Il 2 novembre si celebra la Giornata mondiale indetta dall’ONU per mettere fine ai crimini impuniti contro i giornalisti. Un’occasione da non perdere, anche in Italia
Grande mobilitazione e interesse si registrano intorno all’appuntamento del 2 novembre dedicato alla Giornata mondiale indetta dall’Onu per denunciare a livello internazionale i crimini contro l’informazione destinati sempre più a rimanere impuniti. L’obiettivo è di sensibilizzare l’opinione pubblica, ridestandola dal torpore dell’assuefazione, rispetto alle notizie ormai tristemente quotidiane di reporter uccisi nell’esercizio della loro professione. Ciò sarà posibile se si raccontano le ingiustizie e le prevaricazioni dei poteri totalitari.
Forse non è mai esistito un passaggio storico connotato da una tale pericolosità per la vita stessa dei giornalisti in ambito internazionale. I nuovi mezzi di comunicazione hanno fatto perdere ai regimi il controllo tradizionale dell’informazione: le notizie circolano in mille modi diversi e alla velocità della luce. Non è più sufficiente controllare le redazioni o le stamperie. Oggi ognuno di noi, attraverso il suo smartphone, può occasionalmente trovarsi a essere testimone e reporter di singoli fatti e può immediatamente comunicarlo ad altri, anche al di fuori del confini, con un semplice click.
Nei regimi autoritari, l’impossibilità di esercitare i controlli, come avveniva prima, ha determinato reazioni scomposte ed estreme: minacce, arresti, aggressioni, perfino la decapitazione di alcuni corrispondenti esteri, come accadde nel 2014, in Iraq, a James Foley e Steven Sotloff. Delitti atroci. E ogni anno sono molte decine i giornalisti uccisi per aver fatto bene il loro lavoro, per avere raccontato la verità.
E allora quale messaggio si vuole dare con la Giornata contro l’impunità? Questo: chi uccide un giornalista non compie soltanto il crimine di omicidio nei confronti di un essere umano, ma aggredisce anche un bene giuridico della collettività: l’informazione. L’una e l’altra aggressione producono un danno enorme a chi produce informazione e anche ai cittadini che non riceveranno più certe informazioni. Eppure, spesso i colpevoli restano impuniti e l’impunità scoraggerà sempre più chi, giornalista o non-giornalista, potrebbe narrare verità sociali e politiche che potrebbero suscitare reazioni violente. Come biasimarli!?
Questo fenomeno si chiama autocensura. Se pensiamo alla sua applicazione su scala mondiale, devono preoccupare gli effetti di sostanziale oscurantismo informativo che possono prodursi nel lungo periodo. Esiste, infatti, il concreto pericolo che di questo passo, a poco a poco, su alcune realtà internazionali si spenga definitivamente la luce.
Ecco qualche cifra: settecento giornalisti uccisi negli ultimi dieci anni, soltanto per aver svolto il proprio lavoro e informato la collettività su fatti scottanti, spesso da zone di crisi e di conflitti. Per ricordare le vittime, sensibilizzare le autorità governative chiamate a mettere in campo strumenti adeguati volti a tutelare i reporter e individuare i colpevoli autori di crimini contro i giornalisti, le Nazioni Unite, con la risoluzione dell’Assemblea generale del 18 dicembre 2013 (A/RES/68/163, N1344923), hanno istituito la Giornata internazionale per la sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità, fissata per il 2 novembre. Anche quest’anno, quindi, non dovrà andare persa l’occasione di sollevare la questione affinché i governi, anche quello italiano, adottino misure idonee e specifiche per combattere questo fenomeno.
In Italia, Ossigeno per l’Informazione segnala da anni fatti gravi di compressione della libertà di stampa nel nostro paese. Avvengono in modo certamente meno efferato ma più subdolo, qual è quello del ricorso alla pressione giudiziaria, all’isolamento economico, alla precarietà del rapporto di lavoro, alla sostanziale mancanza di garanzie giuridiche e di risarcimenti per tutti quei giornalisti che, subiscono processi penali e civili uscendone vittoriosi nell’84 per cento dei casi, ma ne escono duramente provati moralmente ed economicamente.
Da anni ormai si discute in Parlamento di una legge che dovrebbe riportare in equilibrio questa situazione, ma la sensazione è che sia insufficiente la volontà politica di ristabilire in Italia un’informazione forte e indipendente. Lo dimostrano le innumerevoli modifiche apportate all’originario disegno di legge per abolire le norme che prevedono il carcere per i giornalisti. Modifiche tutte volte a ridimensionare norme che dovevano, invece, essere un’occasione imperdibile per ripristinare il ruolo e la funzione del giornalista nel nostro paese. Il giornalismo, fuori da ogni retorica, è una delle funzioni più alte in un sistema democratico, in quanto crea un ponte comunicativo tra il potere e i cittadini, senza il quale non sapremmo nulla e ci resterebbe solo la piccola finestra di casa nostra per guardare fuori e sapere che cosa accade nel mondo. Giungerà il momento in cui ci renderemo conto di questa situazione?
Avv. Andrea Di Pietro