“È qui l’Italia? Questa è l’Europa? ” . Sono tutti in fila, con le tute di carta plastificata bianche profilate di azzurro, affacciati sul ponte di dritta mentre la nave arancione battente bandiera Gibilterra si avvicina alla banchina del porto di Catania. Li abbiamo portati a bordo dopo quattro giorni di navigazione, due di viaggio e due di attesa nel Mediterraneo in zona SAR, a meno di 20 miglia dalla Libia. Abbiamo cercato di spiegarglielo più volte che il loro viaggio non era ancora finito, che di strada ce ne era ancora da fare e che molti di loro forse non avrebbero mai raggiunto la meta prefissata. È stato necessario mostrargli una cartina geografica dell’Italia per fargli capire che Catania non è Milano …
Ora però sono solo stanchi, affamati e assetati. Alcuni fatti due passi sul ponte, quasi svengono, soprattutto una bambina esile di soli 12 anni: non si regge in piedi e le diamo subito una barretta energetica e acqua. Molti di questi 129 uomini donne e tanti minori e bambini non hanno proprio idea di dove stanno andando. E infatti chi chiedono: ” Madame Madame …quell ‘est le pais meilleur puor vivre En Europe? ”
E quale paese può essere quello più accogliente per voi ? A questa domanda io non so rispondere.
L’unico posto in cui ho visto una vera Europa unita e solidale in questi giorni l’ho vista in mare nel Canale di Sicilia: su una nave arancione di 77 metri che un tempo solcava i gelidi mari del nord come nave appoggio ai pescherecci. Andata in pensione , ora naviga nel Mediterraneo dalla Sicilia verso la Libia, fermandosi al limite delle acque internazionali.
L’associazione umanitaria italo-Franco-tedesca SoS Mediterranée , nata nel 2015 da un’idea del comandante Klaus Vogel e di sua moglie, l’ha voluta utilizzare per soccorrere i migranti che tentano la sorte attraversando il mare. La missione è totalmente autofinanziata con donazioni private: non un centesimo dall’Europa. Con un costo di 11 milioni di euro al mese.
A bordo una trentina tra marinai e volontari , di cui una decina di specializzati di Medici Senza Frontiere l’organizzazione internazionale in partnership. E a bordo a turno, anche giornalisti selezionati in modo rigido.
Quando io e il mio cameraman saliamo a bordo alla volta della Libia, non è la prima volta ma è la prima volta che proviamo a partire con loro. Ci avevamo già provato ad agosto ma il viaggio era improvvisamente saltato per via di un attacco ad un’altra unità di MsF da parte di sedicenti guardia costiera libica che avevano sparato alla Bourbon Argos da un motoscafo. Un vero e proprio attacco capitato proprio mentre stavamo per partire e che aveva costretto l’equipaggio a decidere di fare fermare quella missione per fare dei lavori di messa in sicurezza.
Così, dopo due mesi possiamo prendere il largo. Ci vogliono 36 ora da Catania per raggiungere il punto SAR , poco sopra Tripoli e a est di Sabratha, in un’area meno battuta dalle navi in soccorso. Il primo giorno il comandante ci spiega cosa fare se malintenzionati armati dovessero avvicinarsi alla Aquarius. Il piano di sicurezza scatta non appena si raggiungono le acque al confine libico. Se qualcuno si avvicina scatta l’allarme acustico e allora si va tutti giù sigillati in una piccola “safety room” entro 5’ : sennò si resta fuori e si deve correre in plancia di comando. Così succede infatti al terzo giorno di navigazione: una motovedetta libica si avvicina e dialoga con il comandante bielorusso Alexandre Yourcenko che subito dopo ci rassicura. Non hanno cattive intenzioni e se ne vanno salutando.
“Non bisogna innervosirli” – ci dicono i coordinatori della missione mentre incautamente scatto delle foto dall’oblò della sala in cui siamo chiusi a quattro mandate – “cercate di capire che noi abbiamo equilibri delicatissimi con i libici “.
Intanto sulla pancia di comando i volontari a turno fissano il mare con il binocolo per vedere se c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto: l’ultima settimana i trafficanti si sono scatenati mettendo in mare 11mila persone. Ora devono sistemare una nuova flotta di vecchi barconi e scadenti gommoni . Solo su questa nave una settimana prima, sono state portate a bordo 700 persone: 700 esseri umani disidratati, malati, traumatizzati, ai quali i 30 componenti dell’equipaggio hanno dato sostegno di ogni genere, preparando e servendo loro anche i pasti. Tre volte al giorno durante la traversata di 40 ore …per 700 persone.
Sulle navi come questa l’odore del dolore, quello che resta dopo che sono scese le centinaia di migranti salvati, è impresso nelle pareti, nei pavimenti: non va via neanche dopo la disinfestazione. È un odore che ti rimanda a quel dolore, a quegli occhi che ti guardano in un modo che può descrivere solo chi li ha visti come quelli di Francis, Able Seaman – una sorta di tuttofare sulla nave. Ghanese di 42 anni molti dei quali passati sulle navi. Tre mesi a mare, sei a casa in Ghana e quando gli chiedo se ha un messaggio da dare a chi lo sta guardando lui senza esitare dice: “Non venite in Europa con i barconi. Cercate vie legali oppure restate e morite a casa vostra: morire così no, non ne vale la pena…”
I 129 africani sono stati salvati e trasbordati da una nave irlandese al nostro quattro giorno di navigazione. La maggior parte giovani ivoriani, altri vengono da altri paesi subsahariani e dicono di essere stati per anni in Libia a lavorare e che ora lì è un inferno e non si può più vivere. 47 i minori non accompagnati e tutti hanno un unico sogno: diventare football player, calciatori.
Ci sono anche quattro bambini: la più grande ha 12 anni la più piccola uno e mezzo: con loro un uomo e una donna sedicenti genitori ma sembra che siano due impostori. Sono sempre di più i bambini che viaggiano soli o con finti parenti, di cui poi si perdono le tracce.
Sulla Aquarius però sembrano sereni e ritrovano il sorriso perché su quella nave – dove lavorano volontari provenienti da ogni parte del mondo, un comandante russo convive in perfetta armonia con il suo secondo ucraino, i marinai sono ghanesi, i cuochi filippini – su quella nave si pensa solo a dare una mano a chi ha il diritto di essere aiutato. E qui si vede e si sente la vera solidarietà di un continente che a terra continua a non avere chiaro come deve affrontare questo problema .
“Chi non vede con i propri occhi, chi non gli tende la mano sentendo quanto sono fragili, deboli, spaventati – dice la volontaria SoS Christina Schmidt – chi non vede non può capire quanto sia drammatico quello che stiamo vivendo con le migrazioni oggi !”
“E allora noi gli diamo un sorriso, cure e cibo – dice Hassiba Sahraoui, avvocato di Msf – E gli diamo il benvenuto , perché loro fino ad ora non sono mai stati benvenuti. E ci sentiamo frustrati, perché non sappiamo cosa gli succederà poi a terra dove per molti di loro sarà un altro calvario”.
Così anche noi abbiamo visto e documentato con i nostri occhi che la maggior parte dei migranti sono persone depredate della loro dignità di esseri umani. Ognuno di loro, grandi e piccini, con una storia triste alle spalle.
Come quella dei quattro bambini ivoriani che hanno scorrazzato per un paio di giorni sul ponte di poppa e che spero un giorno possano ritrovare anche a terra quel sorriso che siamo riusciti a strappargli durante il tragitto in mezzo al mare.
Li ho visti scendere a terra di nuovo con gli occhi terrorizzati dall’ignoto cui sanno di andare incontro. Gli hanno detto che quella è l’Europa ma la vera Europa unita l’hanno toccata per ora soltanto in mezzo al mare.