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Dario Fo e Bob Dylan: l’opera d’arte, in qualunque forma si esprima, che coglie la condizione umana, merita il Nobel

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Per effetto di una di quelle curiose e involontarie coincidenze della storia, nello stesso giorno in cui uno dei più originali maestri del teatro contemporaneo e della scrittura teatrale, Dario Fo, Nobel per la Letteratura nel 1997, se ne andava a 90 anni, un altro maestro della musica popolare contemporanea e della scrittura musicale, Bob Dylan, riceveva il premio Nobel per la Letteratura 2016. Ad entrambi, l’Accademia svedese delle Scienze, come pure è accaduto per l’attribuzione dei Nobel in altre discipline, ha considerato la capacità di osservare il mondo contemporaneo e di trasfigurarlo, criticamente, nel proprio modo di fare letteratura, senza badare alla fedeltà al genere, linguistico o formale. Da questo punto di vista, la scelta dell’Accademia ricorda molto un altro episodio accaduto decenni orsono quando nel 1964 il Nobel venne attribuito a Jean-Paul Sartre, che romanziere certo non era, eppure scriveva straordinari saggi di filosofia, opere teatrali, romanzi trasgressivi, rispetto alle forme allora definite del romanzo, come La Nausea. Come è noto, Sartre rifiutò il Nobel, perché portò fino in fondo la sua critica al potere borghese, denunciandone l’ipocrisia. Farà così anche Bob Dylan?

Ha ragione, allora, lo scrittore Salman Rushdie quando scrive, commentando il Nobel a Dylan: “viviamo in un’epoca di grandissimi autori di canzoni – Leonard Cohen, Paul Simon, Joni Mitchell, Tom Waits – ma Dylan troneggia su tutti. Le sue parole sono state un’ispirazione anche per me fin da quando ascoltavo gli album di Dylan a scuola. E sono felice del Nobel”. Rushdie aggiunge poi la questione al centro della disputa – anche molto provinciale, che qui da noi è stata scatenata da Baricco – se il testo di una canzone è oppure no poesia che merita un Nobel. Ecco come replica Rushdie: “Le frontiere della letteratura si sono enormemente ampliate, e fa piacere che il premio Nobel lo riconosca. Per questo voglio trascorrere questa giornata ascoltando e leggendo Mr Tambourine Man, LoveMinus Zero/No Limit, Like a Rolling Stone, Idiot Wind, Jokerman, Tangled Up in Blue”. È chiarissima la provocazione di Salman Rushdie: coloro che criticano l’assegnazione del Nobel a Dylan non sanno di cosa parlano perché forse non ne hanno mai ascoltato e letto una sola riga. E parlano in nome di una purezza letteraria che probabilmente non esiste. In questo senso, il destino di Dylan è molto simile a quello di Dario Fo: molti ne parlano senza conoscere davvero l’opera. Se ad esempio prendiamo un libro di letteratura italiana di quinta liceo, aggiornato al 2016, non troviamo Dario Fo. D’altro canto, lo stesso Luigi Pirandello, Nobel Letteratura del 1934, venne aspramente censurato dai puristi e dagli accademici nostrani, e dovette attendere decenni prima di entrare in un manuale di letteratura per licei. E immagino che i libri di storia letteraria americana ci metteranno qualche decina d’anni prima di riconoscere dignità di poeta a Bob Dylan.

D’altronde, se si segue più da vicino la traiettoria della attribuzione del Nobel da parte dell’Accademia svedese, si scopre che vi è una sorta di continuità nelle scelte operate almeno negli ultimi tre anni: Patrick Modiano, francese, Svjatlana Aleksejevic, russa ma di origini ucraine, e Bob Dylan. Sono tutti cantori, a modo loro, dell’epopea degli ultimi nel mondo contemporaneo. E di cosa parlava anche Dario Fo, se non degli ultimi, degli operai, delle ingiustizie operate dal potere? Cosa ci dice la scelta dell’Accademia svedese, che a molti “letterati” pare strampalata? Ci dice che esiste un legame stretto tra opera d’arte (qualunque forma essa assuma) e condizione umana. Questa è una tradizione seguita fin dall’inizio dal Nobel, basta leggersi l’elenco dei premiati, da Hemingway a Camus a Beckett a Sartre, e per arrivare ai giorni nostri a Herta Muller, Doris Lessing, Harold Pinter, e appunto Dario Fo.

L’Accademia svedese rilancia sempre la stessa domanda per l’opera d’arte, ed è una domanda di senso che, ad esempio, può in parte spiegare per quale ragione siano stati scartati grandissimi autori del Novecento e degli anni Duemila, a partire da Jorge Luis Borges. La domanda di senso riguarda l’opera d’arte nella sua capacità di cogliere la condizione umana nella sua tragica contemporaneità, senza trasfigurarla in un genere, senza indulgere alle regole del mercato editoriale, trattandola come materia primordiale da cui tutto è originato e a cui tutto ritorna. Dario Fo e Bob Dylan appartengono a questa “tradizione” letteraria, e perciò sono stati premiati.

Da jobsnews


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