Centomila euro a puntata, 5mila al minuto, a Luciana Litizzetto? Che la notizia l’abbia data con sdegno Brunetta in Parlamento non esclude che si tratti di una bufala, non sarebbe la prima volta. Ma anche prendendo per buone le 20mila a puntata della vecchia quotazione, mille euro al minuto per le battute più o meno spiritose e salaci a “Che tempo che fa”, come anche i 500mila euro all’anno ciascuno di Fabio Fazio e Massimo Giletti e altre star televisive, ce n’è abbastanza per suscitare sconcerto e rabbia tra i telespettatori. Per non parlare delle 200 e più migliaia di euro ciascuno distribuite ad altri dirigenti o ex dirigenti del servizio pubblico radiotelevisivo, dai 650mila dell’amministratore delegato Antonio Campo Dall’Orto in giù. In gran parte soldi dei contribuenti, pagati da quest’anno con la bolletta elettrica.
Che si tratti di denaro pubblico o privato, la domanda che viene fatta per valutare la congruità di una retribuzione è questa: chi la decide, un criterio imprecisato di equità oppure il mercato e la libera concorrenza? Per i dirigenti delle pubbliche amministrazioni un decreto legge del 2010 aveva fissato una riduzione dei redditi del 5 per cento per i redditi tra i 90mila e i 150mila e del 10 per cento per quelli superiori. La Corte l’ha giudicato incostituzionale perché non toccava anche il settore privato. Sta di fatto che in uno studio dell’Unione europea l’Italia viene al secondo posto, dopo il Regno unito, per livello di disuguaglianza distributiva dei redditi. E nel 2012 per retribuire i 22 super manager italiani con stipendio più alto è stato versato (compresa qualche buona uscita) un totale di 54 miliardi e 337 milioni di euro. Quel che è peggio, l’esperienza dimostra che non sempre alla spesa più elevata corrisponde il risultato migliore quanto a produttività. Ora, con la riforma Madia della P.A. , un decreto attuativo sta per dividere le società partecipate in cinque fasce con altrettanti limiti ai compensi dirigenziali, fermo restando il tetto per tutti di 240mila euro. Se questo basterà a cambiare le cose, vedremo.
Ma veniamo agli stipendi dei politici. Come è noto, uno dei cavalli di battaglia per la campagna del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre è il taglio dei costi che si avrebbe con la riduzione a 100 del numero dei senatori e della loro selezione tra sindaci e consiglieri regionali. Ma la sfortuna vuole che tra oggi e domani venga discussa e votata alla camera la proposta di legge dei 5stelle, Lombardi prima firmataria, che se approvata comporterebbe, con la riduzione a 5mila euro lordi al mese dell’indennità parlamentare e con il tetto di 3500 euro per la diaria, risparmi decisamente più rilevanti di quelli che si avrebbero con la trasformazione del Senato in “Camera delle regioni”. Che faranno i deputati Pd, minoranza compresa? Voteranno a favore come li ha invitati a fare Grillo? O, come anticipato dai giornali, si salveranno in corner chiedendo il ritorno della proposta Lombardi in Commissione?
Comunque sia, vi offro due modeste considerazioni finali: la prima è che il crescere delle disuguaglianze economiche, in Italia come nel resto di Europa e del mondo, sta producendo guai a non finire ed è compito indifferibile della politica ridurle, non aggravarle. La seconda considerazione deriva dal buon senso e vorrebbe che prima di assegnare un compenso si tenesse conto non tanto di calcoli astratti o del capriccio del mercato, ma dell’utilità che ne deriverebbe ai destinatari del servizio.