Un tempo li chiamavano a Roma “cascherini”, vestivano un camice nero o grigio o marrone scuro e spingevano un enorme triciclo nero, una bici a tre ruote con un lungo manubrio senza cambi e sulle due ruote anteriori una grande cesta metallica sulla quale poggiare le merci da trasportare.
Il “cascherino” era nella scala sociale del lavoro, quello situato all’ultimo piolo, il più basso. Quasi sempre giovani dai 14 anni in su, senza titolo di studio, senza contratto, lavoravano a cottimo (oggi equivalente ai “voucher” o “a chiamata” via app-smartphone), nella speranza un giorno di diventare apprendisti e poi commessi dei negozi di alimentari (quando c’erano ancora i vapoforni che sfornavano vari tipi di pane), “vini e olii”, macelleria. Era un lavoro duro, con qualsiasi condizione atmosferica, pioggia, neve, vento o sole ferragostano, su e giù per le strade collinari della capitale, destreggiandosi tra i binari dei tram. Altro che gli odierni tricicli, rivisitati tecnologicamente e con cambi tipo Shimano al manubrio, spesso elettrificati, con i freni a disco e telai più leggeri!
Adesso, quei “cascherini”, diventati per lo più nonni (la categoria scomparve alla fine degli anni Sessanta, superati dalle motorette e dalla scomparsa della “spesa a domicilio”), con un po’ di commozione assistono alla ricomparsa dei nuovi “cargo bikers”, abilmente guidati dai loro nipoti che, non trovando altre occupazioni, si industriano a lavorare precariamente come i loro avi, 60 anni fa. Niente a che vedere con i Pony Express degli arrembanti anni Ottanta, in sella agli scooter per recapitare pacchi leggeri, divenuti anche famosi in film natalizi o in miniserie TV.
Certo, oggi, con la globalizzazione (i risciò asiatici o i tuk-tuk restano nell’immaginario collettivo una sorta di romanticheria turistica!) il trasporto cittadino di merci, come le derrate alimentare deperibili, i prodotti di pizzerie, ristoranti orientali, hamburgherie, pasticcerie, ecc., hanno bisogno di mezzi “verdi, ecologici” dotati di grande manovrabilità negli spazi intasati del traffico urbano. E soprattutto che non costino molto: solo la fatica fisica dei giovani a cottimo. Se poi quegli stessi si intossicano nello smog urbano, visto che respirano a pieni polmoni per correre, ebbene lo si vedrà fra un po’ di anni, quando magari avranno iniziato una nuova occupazione e nessuno potrà essere più incolpato per i danni irreversibili alla salute sul lavoro!
Oggi, però, i “cascherini” non sono più legati al ruolo di apprendista presso un solo commerciante. In Europa esistono almeno tre grandi organizzazioni multinazionali, Deliveroo, Foodora e UberEats che si contendono il mercato. Basta scaricare l’app. sullo smartphone e le pizze, la cena alla cinese o il sushi giapponese sono belli e fragranti arrivati a casa vostra in men che non si dica!
Sicuramente il “cascherino” era più romantico, reso celebre e “nobilitato” da un Carosello di Pier Paolo Pasolini, con Ninetto Davoli protagonista, che portava i crackers appena sfornati col suo triciclo, sorridendo e cantando a squarcia gola. Di quei “cascherini” ci si ricordava anche il nome e magari a Natale gli si faceva un regalino. Mentre i “ciclo-sfruttati” odierni, i Rider o “cargo-bikers” restano anonimi, frettolosi (hanno tante consegne da fare per 2,70 euro a corsa in media, pochi mesi fa erano 5 euro!), espressione del precariato diffuso offerto dal “turbo-capitalismo”, che tutto appiattisce e banalizza.
La biciletta non è della società ma la propria, anche se per utilizzare l’attrezzatura (casco protettivo, giacchetta con catarifrangenti e box termico portalimenti in polisterolo, tutti col marchio) occorre versare una cauzione di almeno 50 euro. Niente assicurazione sugli infortuni (e in bici, quando nevica o piove, è facilissimo cadere per le strade cittadine oleate) né contributi previdenziali e assistenziali.
C’è però un salto generazionale e “culturale”: i Rider “ciclo-sfruttati” nella maggior parte sono laureandi o appena usciti dall’università, parlano più lingue, hanno partecipato anche all’Erasmus, quantomeno sono diplomati, tutti maggiorenni quando non ultratrentenni, pieni di aspettative, vivono ancora in famiglia o se “fuorisede” insieme ad altri coinquilini (a 600/700 euro al mese per stanza, spesso “in nero”). I più fortunati se la cavano con un vecchio scooter riadattato; quelli più prestanti guidando dei grandi tricicli elettrici, i risciò all’europea, forniti dalle società.
E’ questo il futuro occupazionale “alla smartphone” per i nostri giovani, che si vorrebbero non “attaccati” all’idea, ritenuta antiquata e da rottamare, del lavoro fisso, ma bombardati mediaticamente perché seguano la strada per diventare “imprenditore di se stesso”? Un lavoro iper-consumistico, così precario da rasentare lo schiavismo sotto le mentite spoglie della globalizzazione e della modernità tecnologizzata? E dove starebbero le tutele, le possibilità di progredire nel lavoro e nella retribuzione, e un futuro al sicuro dei contributi per almeno una minima pensione a 67/70 anni?
E poi ci si domanda come mai i giovani, ormai fino a 40 anni secondo le nuove categorie sondaggistiche, preferiscono comunicare e fare politica virtuale sui Social Network, piuttosto che andare a votare! Quando non li si sbeffeggia da parte di governanti e media etichettandoli nelle statistiche come “mammoni” o “bamboccioni”, colpevoli per il 67,3% di vivere a casa e nel 70% dei casi sognando di emigrare al Nord.