Non è la prima volta che Adriano Sofri invoca l’attacco di terra, se le bombe si mostrano inefficaci. Lo fece ai tempi dell’ex Jugoslavia e lo fa adesso parlando di Mosul.
Non è la prima volta che Adriano Sofri invoca l’attacco di terra, se le bombe si mostrano inefficaci. Lo fece ai tempi dell’ex Jugoslavia quando, dopo aver invocato i bombardamenti della Nato sui serbi e averne costatata l’inefficacia, chiese di mettere gli scarponi sul terreno. Stavolta, da Mosul mette in bocca all’arcivescovo di Ankawa (magari è vero che le ha pronunciate) “l’invocazione dolorosa ma risoluta: i bombardamenti aerei non bastano, “’imploriamo di venire e mettere i vostri piedi sul terreno”.
Né costituiscono una novità le sue affermazioni riferite ai pacifisti, quelli che – lui dice – si allarmano perché la parola torna alle armi. In precedenza ci aveva accusati di essere prigionieri dello “spirito di Monaco”, di quel patto che aveva portato la Germania ad annettersi la regione dei Sudeti. Soltanto che allora non c’erano pacifisti all’orizzonte, e il patto era stato stipulato fra personaggi dal nome di Hitler, Mussolini, il parafascista francese Deladier, il conservatore britannico Chamberlain il cui governo era colmo di fascisti e nazisti. Stavolta Sofri si mostra infastidito per il comunicato che è seguito all’incontro con la Presidente Boldrini perché noi, i promotori della marcia Perugia/Assisi (come giustamente sottolinea) esprimiamo “la nostra preoccupazione per le guerre e le stragi che si susseguono nel mondo.
Aleppo o Mosul non fa differenza! La guerra è un crimine insopportabile. Sempre e comunque. Condannare i bombardamenti su Aleppo e inneggiare per quelli su Mosul è un’ipocrisia. A finire sotto le bombe è sempre la povera gente. Per questo abbiamo marciato da Perugia ad Assisi”. Giusto, dice Sofri su L’Unità, ma con parole velenosette aggiunge che avremmo dovuto marciare “da Perugia ad Aleppo, o a Mosul. Assisi, per il momento, era già al sicuro”.
Questa sua idea (fissa) della mancanza di alternativa alla guerra, tuttavia trova spazio in molti che ti chiedono: “Ma tu che fai la Perugia/Assisi, cosa faresti oggi a fronte dell’orrido che giornalmente ti si pone davanti? perché non puoi dire di non sapere”. Domanda mal posta, perché non esiste un oggi slegato da ieri, e se vuoi fare una proposta che abbia un senso, occorre partire dalle cause e, soprattutto, sapere chi sei quel tu al quale si chiede: “Che faresti”? Se il tu cui si rivolge la domanda sono l’io che ora sto scrivendo, rispondo che io non ho alcun potere di fermare alcunché se non quello di chiamare a raccolta, per quello che posso, persone, il numero più alto possibile con cui marciare (sì: marciare) per invocare pace. Posso anche cercare di raccordarmi col numero più numeroso possibile d’insegnanti perché migliaia di ragazzi conoscano l’orribile di ogni guerra, magari accompagnandoli nelle trincee di quella guerra di cui lo scorso anno sono ricorsi i 100 anni dal suo inizio.
O lavorare perché siano sempre più numerosi i comuni che approvano la più semplice e la più scontata delle delibere: quella che dichiara la propria città Città per la Pace. Perché so che quanto più numerosi saranno questi pronunciamenti, maggiore sarà la possibilità che l’Assemblea Generale dell’ONU dichiari la Pace come Diritto Umano Universale.
Marciare, operare con le scuole e con i Comuni per la pace, aiuta chi in questo esatto momento sta morendo sotto le bombe in Siria o in Yemen o in Iraq o in…?
No. Aiuta a far sì che sia sempre meno lo spazio di chi potrebbe far terminare le guerre, ma non lo fa, e fa sì che la vigilia di una guerra non si trasformi in guerra. Perché se l’io cui si rivolge la domanda fosse, invece, il presidente Renzi, subito imporrei ai miei ministri di non autorizzare alcuna vendita di armi all’Arabia Saudita e agli altri paesi che non rispettano i diritti umani e annullerei immediatamente i contratti stipulati; se fossi Obama o Putin, mi accorderei immediatamente per il disarmo totale di ogni tipo di armamenti e ritirerei ogni mio militare da ogni parte del mondo; se fossi il capo di ciascuno stato che aderisce alle Nazioni Unite, aiuterei il nuovo segretario generale Guterres a “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità”.