Il bluff del Jobs Act è stato reso noto alla pubblica opinione con la pubblicazione degli ultimi drammatici dati sul lavoro. Con l’esposizione di una caduta dei contratti a tempo indeterminato (-29%), non appena smaltito l’effetto dopante dei robusti incentivi erogati alle imprese. Che ringraziano, incassano, non rinnovano i contratti a termine e anzi licenziano (+7,4).
Inoltre, si ingessa sempre più la mobilità del lavoro, perché chi cambia contratto, perde la tutela dell’art. 18. E ci pensa due volte prima di accettare nuove proposte. Per i giovani poi è buio pesto. Per chi cerca lavoro c’è quasi solo il nero. Altrimenti, ci si deve accontentare del grigio, cioè i vaucher, a 7,5 euro netti l’ora, dove le ore in nero sono nascoste da qualche tagliando, che infatti sono cresciuti a dismisura (+40%).
Certo, c’è il perdurare della crisi, il divieto delle dimissioni in bianco, ma questi dati svelano la mancanza di una regia complessiva di vera programmazione industriale, abbinata a politiche del lavoro fatte non per l’usa e getta dei lavoratori (Jobs Act), ma per dare formazione e occupazione vera a chi ha bisogno di lavorare.
Una complessità che richiede la volontà di rimettere il lavoro al centro dell’impegno politico.
Trovando i soldi dall’evasione fiscale, per utilizzarli in piani pluriennali di rilancio. Altrimenti, l’esasperazione asciugherà del tutto la speranza. Rendendo le praterie essiccate dal rancore, pronte per i piromani della destra.
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