Al di là delle olimpiadi di Rio e del tormentone sulle cicciottelle (da tempo la nostra Mara Cinquepalmi riflette, col suo blog e ora con l’ebook, su “sport, media e discriminazioni di genere”) abbiamo letto fiumi di parole sul ridicolo divieto, poi bocciato ma forse no, del pur deprimente burkini in Costa azzurra e molti meno invece sulla sospensione di otto giornaliste egiziane dalla televisione di stato ERTU con la motivazione d’essere troppo in carne. Intanto, indifferenti al dibattito, le gallery dei nostri media online continuavano e continuano a proporre corpi femminili e allestire graduatorie sexy; solo qualche giornale più astuto, per sfuggire alle accuse, allarga il tiro proponendo “gli atleti e le atlete più belli”.
Né si salvano i corpi delle donne politiche, però qui un lieve miglioramento si può notare: se molte belle firme anche di giornalisti “impegnati” hanno difeso (mica dal rogo o dall’assalto armato: dal diritto di critica, altrettanto importante quanto il diritto di satira) una brutta vignetta sulle cosce della ministra Boschi, altre firme sempre maschili l’hanno invece contestata. La vignetta, non la ministra.
C’è del nuovo dunque, sia perché finalmente sempre più uomini si sporcano la penna per scrivere nel merito di temi sinora lasciati alla polemica femminile e femminista, sia perché un numero crescente di donne e uomini si sottrae a quell’approccio giustificazionista e dunque irrispettoso della dignità e dell’eguaglianza per cui. anche le nonne del Sud facevano il bagno in sottoveste, anche le suore hanno una divisa col velo, anche la legislazione italiana conosceva il delitto d’onore, anche da noi le donne erano soggette alla potestà paterna, maritale o dei fratelli, anche i mormoni chiedono la poligamia, ovvero anche Spadolini veniva disegnato col pisello microscopico e Andreotti con gobba e orecchie aguzze. E allora? giustifichiamo le ingiustizie e le beceraggini di oggi in nome delle violenze del passato?
La battaglia non sarà facile, poiché da sempre i poteri hanno esercitato la loro supremazia in primis sui corpi degli asserviti come le donne o dei reietti come i diversi per orientamento, credo, colore, provenienza. Tuttavia qualcosa si muove nella nostra discussione pubblica. E l’informazione può essere ancora una volta d’aiuto contro gli stereotipi, cominciando dai propri. Come ha divulgato il diritto ad un linguaggio sessuato – chiamando le donne con le parole al femminile di ministra, assessora, ingegnera. – così può contribuire a liberare da oppressioni e da ossessioni il racconto e l’immagine dei corpi.