Prima di andare via, Valentina si è fermata nel “corridoio Enel-Wind” e ha scattato una foto sulle postazioni in cui ha lavorato per otto anni. Silenzio. Luce spettrale. E i riflessi che piovono dalla finestra sulle sedie vuote e sulle cuffie abbandonate sui tavoli. Lì, in quella sala dedicata alle commesse di Enel e Wind, fino a ieri, era un rincorrersi di voci e suoni tipici da call center: «Recarsi in azienda dopo otto anni e assistere a questo scenario» dice Valentina. «Stentiamo a credere a quello che stiamo vivendo».
Valentina è una delle seicento persone che ieri hanno perso il lavoro nel call center Qè. E come lei Liliana, Milena, Agata, Antonio. E tanti altri. Un intero territorio, quello di Paternò, rischia di perdere la sua azienda più grande. Per questo, lentamente, la lotta dei lavoratori Qè sta diventando la lotta del paese e di un intero territorio.
Per raccontare la vicenda ci vorrebbe Agatha Cristhie. O forse Kafka.Nemmeno i lavoratori hanno ancora capito bene quello che è successo. Azienda chiusa e posti di lavoro polverizzati nel nulla. Si sa con certezza che è una classica storia di malagestione, di scatole cinesi, di debiti per milioni nei confronti dell’agenzia delle entrate e dell’Inps, di ritardati pagamenti e infine di licenziamenti (di fatto). Tecnicamente, i lavoratori sono in sciopero ad oltranza. Ma in un’azienda che non riaprirà più.
«Una soluzione ci sarebbe» spiega Davide Foti della Slc Cgil «basterebbe applicare la clausola sociale. Il lavoro va via da Qè? le commesse passano ad altre aziende? E allora anche i lavoratori passano ad altre aziende. Nessun posto di lavoro può essere perso». Chiaro. Ma cosa è successo? «L’imprenditore Argenterio» spiega Foti «ha accumulato 6,5 milioni di euro di debiti, per lo più tasse non pagate e conseguente evasione fiscale. Debiti per circa 700 mila euro con la Di bella Group tra affitti ed azioni. E al momento mancano versamenti contributivi per circa 400 mila euro, il pagamento di 3 mensilità per 575 lavoratori. Questo signore merita un processo e a giorni faremo partire un esposto alla procura della Repubblica. Che nessuno ci venga a proporre spezzatini o soluzioni vigliacche. Adesso chiediamo giustizia, le uniche vittime sono i lavoratori e le loro famiglie».
Esplicito. Intanto, nel gruppo Facebook che i lavoratori Qè hanno creato oggi per tenersi in contatto e dare risalto alla loro storia, scorrono i post e gli sfoghi. Come quello di Antonio che li sintetizza tutti: “Muore un pò alla volta chi si arrende. Noi non ci arrendiamo”.