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Legge sul cyberbullismo, un capolavoro di retorica e di ipocrisia istituzionale

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Perché una legge, nata probabilmente con le migliori intenzioni e con il nobile obiettivo di contribuire a prevenire e a reprimere un fenomeno che semina morte e dolore nel nostro Paese come nel resto del mondo, rappresenta invece un pessimo esempio di come dovrebbe essere scritta una legge, o meglio ancora di cosa una legge non dovrebbe mai prevedere? Grazie al succedersi degli emendamenti, arrivati a poco a poco dalle parti più diverse, è venuto fuori un capolavoro di retorica e di ipocrisia istituzionale.

Il fatto è che la legge aggiunge poco o niente alle regole già in vigore. Non serve infatti scrivere nel testo che chi ritenga di esser vittima di cyberbullismo deve rivolgersi al gestore della piattaforma per chiedere di porvi fine rimuovendo o bloccando il contenuto incriminato. Ed egualmente non serve una nuova legge per dire dire che la questione rientra nella competenza del Garante per la privacy  chi ne è vittima può rivolgersi a quest’ultimo per chiedere tutela e giustizia: né serviva convocare presso la presidenza del consiglio dei ministri un ennesimo tavolo tecnico.

Ma l’aspetto più difficile da digerire è che nessuna di queste iniziative appare davvero determinante per prevenire e combattere il cyberbullismo. Un sospetto di ipocrisia istituzionale avvalorato dalla circostanza che ammonta appena a 220mila euro per 41 mila scuole-ovvero poco più di 5 euro a  scuola- lo stanziamento previsto per le iniziative di contrasto al cyber- bullismo. Non si può dichiarare guerra-specie ad un fenomeno tanto dilagante e subdolo- senza soldi e risorse. Peccato ma è così.


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