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La storia dimenticata del pastore Tommaso che difende la reggia di Carditello

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E’ una buona notizia che il professor Luigi Nicolais sia stato nominato presidente della Fondazione Real Sito di Carditello; le agenzie di stampa riferiscono del sentito “grazie” del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini all’ex ministro Massimo Bray per l’impegno profuso per il sito. Sotto il suo ministero, nel dicembre 2014, la Reggia diventa “bene pubblico”, e diventa realtà il progetto di acquisizione statale iniziato due anni prima dal predecessore Lorenzo Ornaghi. Per una volta la politica ha fatto qualcosa che di buono, di giusto. C’è però un protagonista di questa bella storia che si rischia di dimenticare; e che invece va ricordato, e ringraziato. Questo protagonista si chiama Tommaso Cestrone. Il nostro è un “grazie” alla memoria, perché Tommaso è morto la notte di Natale di tre anni fa, stroncato da un infarto ad appena 48 anni. Forse il nome di Tommaso dice qualcosa in più se lo accompagniamo con il soprannome che qualcuno, sennatamente, gli ha dato: “l’angelo di Carditello”.

Niente più che un pastore, Tommaso, ma con molto più senso civico di tantissimi pluri-laureati. Persona “bizzarra”, anche. Pensate che si mette in testa di difendere la Reggia di Carditello da solo, a mani nude, dai saccheggi e sfregi che si consumano giorno dopo giorno, tra la generale indifferenza. Un regista, Pietro Marcello, ha raccontato questa bella storia in “Bella e perduta”, presentato l’altro anno al Festival del cinema di Locarno, era l’unico film italiano in concorso. Non so se sia mai entrato in circuito, in Italia. Io l’ho visto appunto a Locarno. Meriterebbe di essere visto.

Si comincia con una sorta di sfilata di Pulcinella, la maschera che secondo la tradizione fa da tramite tra i vivi e coloro che non ci sono più. Il Pulcinella di Marcello ha un incarico preciso: esaudire le ultime volontà di Tommaso, pastore ignorante e insieme sapientissimo: di quella sapienza antica che si è nutrita di una saggezza frutto di secoli. Tommaso è un ‘duro di cervice‘, uno di quei rari personaggi cui si deve la salvezza del mondo. Ecco, lo vediamo che si prende cura gratuitamente, volontariamente, della Reggia di Carditello, e contro il volere dei clan della camorra, che temono sia il primo passo verso la legalità e la fine del loro dominio.

Un gioiello, quella reggia. Bisogna risalire al regno dei Borboni: la reggia fa parte di una ventina di palazzine e pregiate costruzioni: dal Palazzo Reale di Napoli alla Reggia di Capodimonte, dalla Villa Favorita alla Reggia di Portici, e appunto, quella di Carditello. Non semplici luoghi per lo svago della corte; spesso sono vere e proprie aziende, per quel tempo, all’avanguardia, come piemontesi e stato pontificio si sognano. Questo per dire non sempre il Meridione è stato il ‘Sud’ dell’Italia.

La tenuta di Carditello, in particolare, è una vasta tenuta, delimitata a settentrione dal Volturno, a est dal monte Tifata, a sud da quello che un tempo era il fiume Clanio, a occidente dal mar Tirreno. Un’azienda agricola fiorente, ben progettata nelle infrastrutture edili, organizzata negli allevamenti di pregiate razze equine, nella produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e caseari fosse degnato di scendere a Sud almeno una volta nella sua vita ; un’azienda che certo non sfigurava con le ammirate e celebrate aziende britanniche. La Reggia è costituita da un complesso architettonico sobrio, solido, elegante di stile neoclassico: immersa in una tenuta ricca di boschi, pascoli e terreni di semina, si estende su una superficie di oltre duemila ettari. ‘Reale Delizia’, il suo titolo, perché l’azienda, offre una piacevole permanenza al re e alla sua corte per le battute di caccia che i numerosi boschi ricchi di selvaggina assicurano. Nel 1920 la Reggia passa dal Demanio all’Opera Nazionale Combattenti, i duemila ettari della tenuta lottizzati e venduti. Restano esclusi dalla speculazione il fabbricato centrale e quindici ettari circostanti, disposti a ventaglio sui lati ovest, nord ed est del medesimo complesso. Patisce prima l’occupazione tedesca, poi quella americana, infine, finita la guerra entra a far parte del patrimonio del Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno.

Qui comincia la tristezza di questa reggia. Per anni tenuta in avvilente abbandono, dimenticata e ignorata, oggetto di scellerate a razzie che fanno scempio di decori, sculture, arredi architettonici. Bisogna attendere il 27 gennaio 2011, perché il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Ufficio Esecuzioni Immobiliari, disponga la vendita all’asta del complesso monumentale, al prezzo base di dieci milioni di euro. Il Tribunale assegna il diritto di prelazione al Comune, alla Provincia, alla Regione; ma tutte le aste vanno deserte. Ben undici aste… Non per un caso siamo nella ‘terra dei fuochi’.

Qui entra in scena Tommaso, il pastore saggio e sapiente; e anche coraggioso, di ‘tenace concetto’. Dal 2011 al 2013 sorveglia la reggia a titolo volontario; cerca come può, come sa, di attirare l’attenzione della politica per il recupero del complesso architettonico; ostinato, paziente, instancabile. Fino al giorno in cui il suo cuore cede: muore per infarto la notte della vigilia di Natale del 2013. Un infarto che lo coglie all’interno della reggia, che anche quel giorno custodisce, a dispetto di tutti e tutto. Questa è la storia. Finalmente entra in campo (siamo nel gennaio 2014) il Ministro dei Beni culturali Bray, si firma un accordo preliminare tra la Società Gestione Attività, che ha acquisito i crediti del Banco di Napoli, e il Ministero dei Beni culturali per la cessione del complesso edilizio al Ministero stesso.

Questa la storia. Marcello, in “Bella e perduta” la racconta come una favola, anche se triste, malinconica. Tommaso non si prende cura solo della reggia. Un giorno mette in salvo un giovane bufalo, battezzato – non a caso – Sarchiapone. Il giovane bufalo non serve, non dà latte, gli altri allevatori lo vogliono uccidere, è un peso. Tommaso si oppone, ne prende la cura, fino a quando non arriva l’infarto fatale. A questo punto entra in scena Pulcinella; tocca a lui farsi carico del bufalotto, lo porta con sè lontano, verso Nord. E’ un lungo viaggio, il loro, da sfondo l’Italia vagheggiata, ‘bella e perduta’, e quella reale, ‘brutta, sporca, cattiva’. Il bufalo: è lui che parla; è con i suoi occhi che vediamo quest’Italia reale; è con il ‘cuore‘ della bestia che Marcello ci mostra una realtà che non è nascosta, è ben visibile ai nostri occhi, se solo ci si decidesse di vedere e non solo guardare… «Questa è la mia storia. È l’unica cosa che ho. E me la tengo cara», dice a un certo punto il bufalo Sarchiapone (gli dà la voce Elio Germano). Come i suoi “fratelli”, Sarchiapone, ora che la terra, ridotta a discarica, non la lavora più nessuno, è consapevole di essere destinato a morte certa. A un certo punto non riesce neppure a comunicare con Pulcinella. Perchè Pulcinella si stanca di essere maschera, vuole riprendere il suo vero volto; torna uomo, e così non comprende più il bufalo, anche quando fortissimamente desidera farlo. Un po’ come il Pinocchio di Carlo Collodi: finchè è burattino, è geniale, rivoluzionario. Appena diventa umano, eccolo meschino, integrato…

Il Pulcinella tornato uomo di Marcello non è, almeno lui, destinato a una fine amara come il Pinocchio di Collodi: perché sì, rinuncia all’immortalità garantita dalla maschera, ma lo fa per recuperare una dignità perduta, in una dimensione rurale che lo soddisfa, si trasforma in guardiano di bufali con una donna umile e che trova bellissima.

Torniamo a Tommaso. Se la reggia di Carditello si salva dalla rovina cui sembrava ineluttabilmente condannata, se mai tornerà ai splendori di un tempo, beh, buona parte di merito è sua; e non lo si dovrebbe dimenticare. Non si dovrebbero dimenticare le minacce e le intimidazioni subite: quando “qualcuno” gli avvelena gli animali; quando “qualcuno” gli colloca una bomba davanti casa e la fa esplodere…
Cosa ha fatto questo Stato per ringraziare Tommaso? E cosa fa, cosa farà?


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