Verrà rimossa più in là. Versione ufficiale: attendere l’arrivo delle carte relative all’iscrizione nel registro degli indagati. Ragione reale: limitare i danni d’immagine provocati dalla questione romana e dare un po’ di tregua alla sindaca, per fornirle il tempo di recuperare credibilità, dedicandosi finalmente ai problemi di Roma. Lo ha deciso Grillo, che dopo il passo di lato è invece dovuto correre nella Capitale col defibrillatore, per salvare il Movimento da un’aritmia pericolosa tra le sue componenti.
A Nettuno, tra scuse e proclami, il battito ha ripreso. Ma ne esce un M5S che ha confermato i suoi vistosi limiti di democrazia interna e di organizzazione. Insomma, le dimensioni del suo consenso impongono ormai la struttura vertebrata del partito, anche se questa parola può indurre il militante puro ad uno shock anafilattico. Un partito con un codice etico chiaro e guidato da organi decisionali adeguati, in grado di far fronte alle emergenze che “direttori”, referenti e garanti non possono più risolvere arrivando con la sirena a disastro avvenuto.
Tra i vari salvati, viene invece ridimensionato Di Maio. Fino a ieri premier in pectore e oggi costretto ad ammettere di non essere stato all’altezza della situazione romana, perché non ne aveva capito la portata. Anche se si applicano le attenuanti generiche della giovane età e della scarsa malizia, il delfino che godeva di fiducia e crescente autonomia finisce per tornare nell’acquario dei vigilati da Grillo e Casaleggio jr.
E ora? Non mi unisco al linciaggio. Ma adesso la Raggi (e il Movimento) deve dimostrare che la lezione della crisi romana è stata appresa e tornare con umiltà e volontà al governo di Roma. Con decisioni concrete che affrontino i gravi problemi della Capitale. Ce lo auguriamo in tanti, anche chi – come me – non è grillino, ma nel ballottaggio ha “prestato” il proprio voto ai 5 Stelle in funzione anti-corruzione. Ma l’onestà ha bisogno di capacità per dare frutti. Altrimenti è solo esibizionismo etico.
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