La profonda crisi della giustizia italiana

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L’uguaglianza delle persone e la tutela dei diritti fondamentali sono i pilastri portanti della giustizia di qualsiasi Nazione civile e democratica.  In Italia si discute di giustizia, di processi, di imputati, di giudici, di avvocati, di vittime sin dai tempi dell’Assemblea Costituente. In quest’ultimo trentennio, spesso, alla magistratura è stata delegata un’attività di supplenza delle carenze evidenti della classe politica che in realtà non le apparteneva e non le appartiene. I magistrati hanno dovuto colmare un vuoto che spettava alla politica. Il vero problema però non è questo o perlomeno non è solo questo. Vi è un tema più importante: “l’apparato della giustizia” che riguarda la sua efficienza, il suo ammodernamento e i danni economici e sociali che questo ritardo comporta. Abbiamo oltre trecentomila leggi alcune risalenti ai tempi della monarchia in Italia. Questo marasma generale favorisce i corrotti, gli evasori, i furbi, i ricchi e, chi delinque consapevolmente, spesso, la fa franca.

L’Italia si trova al 161° posto su 183, per la durata dei procedimenti e per l’inefficienza della giustizia tra i Paesi c.d. civili. La massa dell’arretrato in Italia si aggira intorno a dieci milioni di processi e sono lievitati a dismisura i tempi medi per una causa: nel civile circa 7 anni e nel penale circa 5. Eurostat nel 2014 ci dice che in Italia occorrono quasi 1.300 giorni per recuperare un credito mentre in Germania soltanto 300. Secondo la Banca Centrale Europea se la nostra giustizia civile funzionasse in maniera efficace il nostro PIL potrebbe aumentare di un punto percentuale. Il nostro Paese spende in media quanto gli altri paesi europei (Germania , Francia e Gran Bretagna) ma le risorse purtroppo sono mal impiegate e si perdono nella eccessiva burocratizzazione. Uno dei principali problemi da affrontare resta quello della domanda di giustizia. Il carico di lavoro annuale di ciascun magistrato in sede civile contenziosa di primo grado è di circa 500 fascicoli, in Francia 220, in Germania 50. In sede penale, per ogni giudice, sono oltre 200, in Francia 80, in Germania 42 (fonte: Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa). Ciò dipende in gran parte dal fatto che il sistema giudiziario italiano tende a tutelare di più chi viola la legge rispetto a chi è vittima. La litigiosità nell’ultimo decennio è triplicata. Da noi conviene sempre impugnare perché non si corrono rischi. Dopo l’appello, ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione. Alla fine di questo percorso a tappe c’è quasi sempre il “premio” della prescrizione.

Quindi non solo ci sono troppi processi in primo grado, ma a mio giudizio vi sono anche troppe impugnazioni. In Francia e in Germania i ricorsi al terzo grado di giudizio sono poco meno di 10.000 in Italia oltre 50.000 l’anno, quasi altrettanti quelli civili e gli avvocati cassazionisti italiani sono oltre 50.000. L’unico vero rimedio alla crisi della giustizia italiana è la riduzione del numero dei processi sia in primo grado che nelle impugnazioni, per ricondurre i carichi di lavoro a quelli di altri Paesi europei. Per far questo, in sede penale, occorre depenalizzare drasticamente e con criterio ed in sede civile incidere sulla litigiosità riservando ai giudici i casi che necessitano realmente del suo intervento. L’informatizzazione in tutto ciò svolge un ruolo determinante. In Italia, come è del tutto evidente, accadono cose che probabilmente non accadono in nessun altro paese europeo: io comincerei a riflettere su questo aspetto e ad agire di conseguenza.

Vincenzo Musacchio, Giurista e direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise


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