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La Marchesa del Grillo

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Grillo assolve (Grillo salva) Raggi. Di Maio si scusa, scrivono Stampa e Repubblica. “Raggi sacrifica un fedelissimo. Grillo: vigileremo”, è la versione del Corriere. Il fedelissimo sacrificato è Raffaele Marra, che già fu tale del sindaco Alemanno e del direttore berlusconiano della Rai Mauro Masi. Marra sarà “spostato ad altro incarico”. L’ex (quasi) candidato premier Di Maio ammette il mendacio (sapeva che la Muraro era indagata) e chiede scusa dal palco di Nettuno. Commenta Giannelli: “Nettuno mi può giudicare”. Mentre “Di Battista superstar si prende la scena”, al grido: “no alle Olimpiadi di Roma”; un modo per far dimenticare anche i rapporti che la Muraro (quella “salvata”) avrebbe avuto con Cerroni, re della monnezza romana, che un tempo dettava la sua legge alle giunte di destra e di sinistra e ora vuol continuare a farlo con i 5 Stelle.

Una soluzione solomonica, scapperebbe da dire, democristiana, secondo Marcello Sorgi, della Stampa. In effetti, calato a Roma contro voglia, Beppe Grillo ha spuntato la lancia Di Maio, ha benedetto (per ora) quella del rivale Di Battista, ha lasciato che Raggi si tenesse la sua assessora ai rifiuti (finché un Pm non la incastrerà), ha accusato Renzi, Pd e giornali di speculare: “la reazione del sistema mi rende.. leggermente euforico”, ha detto. Poi, rivolto alla base, ha ammesso : “qualche cazzata la facciamo pure noi”. Poteva far altro, il Grillo, se non imporre un tale compromesso, che la Repubblica definisce “patto dell’omertà”? Direi di no. La domanda è quanto possa reggere una tale mediazione ora che il re è nudo.

La marchesa del Grillo, titola il Fatto, accomodando alla vicenda grillina la frase di Alberto Sordi: “la sindaca sono io e voi non siete un cazzo”. Ma gli umori tra gli “attivisti” sono sapidi: se Paola Taverna deve giustificarsi affermando di non essere “l’infame” che ha dato ai giornalisti il testo della mail che sbugiarda Di Maio, sua sorella Annalisa se la prende con la sindaca-marchesa: “s’è montata la testa e ha voluto fare un po’ di “capoccia” sua, inanellando una cagata dietro l’altra”. Anche Di Maio il penitente ce l’ha con la Raggi: Virginia mi ha fregato e io ho sbagliato a fidarmi”.

Lo scandalo resta, intatto ed evidente, secondo Mario Calabresi, direttore di Repubblica: “Resta al suo posto un’assessora che si occupa di rifiuti ed è al centro di un’indagine per i mancati controlli sui rifiuti; occuperà il suo posto un assessore dai modi estrosi, selezionato non dalla rete ma direttamente dall’ex avvocato di Cesare Previti; resta al suo posto il dipendente comunale che si è messo in aspettativa per farsi riassumere a tempo dallo stesso comune con il triplo dello stipendio. E resta il fatto che da oggi nei 5 Stelle è lecito e tollerato mentire all’opinione pubblica e ai propri elettori, nascondendo ciò che si conosceva da mesi”. È la versione di chi non nutre certo simpatia per i 5 Stelle, ma è difficile definirla infondata. “La Rete si sta smagliando – aggiunge Massimo Franco sul Corriere – perché quella «democrazia» è solo virtuale. Gridare al complotto non basterà a ricucirla”.

Renzi sciala, per ora. Scrive Verderami: “La fragilità del sistema può far risalire le quotazioni di Renzi”. È vero, l’infortunio romano dei 5Stelle, sommato ai guai della destra, può rafforzare in Europa l’immagine del premier come il solo capace di garantire continuità (con la ricetta imposta dall’Europa), come l’uomo del meno peggio, che difende una riforma costituzionale che è sì sgangherata ma almeno archivia il bicameralismo e riduce il numero dei senatori. Il già rottamatore può riproporsi nei panni del consumato doroteo, che si dice disposto a cambiare l’Italicum (che ha imposto con il voto di fiducia) “se in Parlamento ci saranno i numeri”. Però questa è solo “furbizia tattica”, insorge l’editorialista del Corriere, “perché i numeri li ha il Pd di cui Renzi è segretario”. Non a caso per Bersani sono solo “segnali di fumo” quelli lanciati dal premier sulla legge elettorale.

Più bonus e meno tasse per tutti. Avrebbe detto Cetto Laqualunque. Per la terza volta il governo chiede un aiutino all’Unione, promette che la ripresa porterà più lavoro e più consumi, sostiene che i conti dell’Italia miglioreranno grazie alle riforme. Se avete avuto la pazienza di leggere le debolissime risposte che il commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, ha provato a dare al suo predecessore, Roberto Perotti, sapete già che chi ci governa chiede un atto di fede, non analizza i fatti, non spiega come si riuscirebbe dove si è fallito. “È difficile – scrive Maurizio Ferrera – dissipare i sospetti dell’Europa e si rischia di alimentare molti dei vecchi vizi, relegandoci in una lunga eclissi di ristagno economico e sociale”.

Ieri sera a Sesto Fiorentino, tra magliette rosse con su scritto “Noi No!” e gente (Sinistra Italiana ed ex Pd) che ha conquistato il comune contro il candidato di Renzi. In che modo? Dicendo No all’aeroporto inutile che il partito vuol donare alla città del segretario. Inutile, perché c’è un aeroporto a Pisa, perché da Firenze a Bologna sono 50 minuti in treno, perché l’alta velocità porta direttamente da Santa Maria Novella a Fiumicino. Se si dà torto a Mirello Crisafulli, che vuole l’università a Enna, come poi promettere un ennesimo aeroporto? Si può, perché questi riformisti non sono tali. Sono demagoghi che lisciano dalla parte del pelo ai loro amici imprenditori. Perché hanno in testa un modello di sviluppo vecchio di mezzo secolo e inadeguato. Vuole la sinistra contare nel dopo Renzi, dopo ravvicinato, se vincerà il No al referendum? Faccia come a Sesto: contesti l’insostenibile stupidità della narrazione liberista e privatista del governo. Si misuri con la politica, faccia proposte alternative. La smetta di vantare una supposta superiorità antropologica e dia battaglia.

Da corradinomineo


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